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L'andamento dell'economia a inizio 2023

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Per avere un’idea del “miracolo economico” italiano occorre, prima di tutto, fare due cose. Tenersi a debita distanza dagli uffici studi e dai think tank  di mezzo mondo che sparano previsioni a raffica, con tanto di numeri, note a margine e tabelle che poi, puntualmente, devono frettolosamente correggere in corso d’opera. Senza neanche chiedere scusa.

Ma, soprattutto, occorrerebbe frequentare alcuni degli stabilimenti che, dopo la pausa del Covid, hanno subito cominciato a spingere al massimo gli impianti, riportando la produzione ai livelli pre- pandemia e conquistando nuove fette di mercato all’estero.

E, per toccare con mano la reale situazione del nostro Paese, sarebbe anche opportuno fare un salto in Germania, storica locomotiva d’Europa, deragliata negli ultimi anni nelle secche della recessione.

LE PREVISIONI SBALLATE

Appena sette mesi fa, in ottobre, era toccato al Fondo monetario internazionale indossare gli abiti della Cassandra di turno prevedendo, per il 2023, una “decrescita” non solamente per la Germania ma anche per l’Italia. Un calo del Pil di 0,3 punti per Berlino e di 0,2 di Roma.

Il consuntivo, basato sui numeri “reali” e non sui modelli macroeconomici, considerando i primi due trimestri, è che per i tedeschi la previsione era per lo meno “entusiastica”, visto che il Pil è arretrato di almeno mezzo punto. Ma per gli italiani la stima era addirittura “surreale” se si pensa che la nostra economia (fonte: Considerazioni finali del Governatore Visco) chiuderà l’anno con un aumento della ricchezza dell’1%, con una crescita acquisita, cioè la variazione annuale che si otterrebbe in presenza di una variazione congiunturale nulla nei restanti trimestri, che è già  allo 0,9% (fonte: Istat).

Certo, qualcuno potrebbe pensare che sono numeri di parte, sussurrati dall’amore per il Tricolore (oggi è, tra l’altro, il 2 giugno). Ma anche in questo caso deve ricredersi. Perché mettendo insieme i numeri ufficiali diffusi da Eurostat, l’ufficio che maneggia le statistiche a livello europeo, si scopre che negli ultimi tre anni la Germania potrebbe mettere a segno (se tutto va bene) un aumento del Pil del 4,7%, tre volte in meno rispetto al 13% che nello stesso periodo viene accreditato all’Italia.

Se poi si ha la pazienza di leggere le paginette che il governatore di Bankitalia ha scandito nel salone nobile di Palazzo Koch si scopre, testualmente, che «a fronte degli shock di intensità inusitata degli ultimi anni, l’economia italiana ha mostrato una notevole capacità di resistenza e reazione.

Già alla fine del 2021 il prodotto aveva recuperato il crollo registrato nei trimestri successivi allo scoppio della pandemia; ha continuato poi a espandersi lo scorso anno, nonostante le difficoltà poste dalla guerra in Ucraina, con un incremento del 3,7 per cento, ben superiore alle attese.  Anche il mercato del lavoro ha pienamente riassorbito il forte calo dell’occupazione, che aveva soprattutto riguardato i giovani e le donne».

E, per essere ancora più concreti, Visco ricorda che «dal quarto trimestre del 2019 le vendite all’estero di beni sono aumentate in volume dell’11 per cento, più che negli altri grandi paesi dell’area dell’euro. Nell’ultimo biennio gli investimenti sono cresciuti di oltre il 20%, segnando una netta cesura rispetto alla protratta fase di debolezza seguita alla crisi finanziaria globale».

SPREAD E IMPRESE

Per non parlare, poi, del calo del debito pubblico, trascinato dall’aumento del Pil. O dal ridimensionamento dello spread, il differenziale fra titoli tedeschi e  italiani, ieri sceso al di sotto della soglia psicologica di 180 punti. Merito di un apparato produttivo che si è rimboccato le maniche ed è tornato a investire. Rischiando il proprio capitale.

Tra il 2007 e il 2019, in controtendenza rispetto alla media dell’area dell’euro, il  debito delle imprese era sceso di quasi 7 punti percentuali, al 68% del Pil (contro una media superiore al 100% nell’unione monetaria). Mentre, nello stesso periodo, sempre secondo i dati di Bankitalia, le famiglie hanno mantenuto un livello di indebitamento complessivamente basso, pari nel 2019 al 41% del prodotto (15 punti in meno della media dell’area), concentrato presso i nuclei a più alto reddito, maggiormente in grado di sostenerlo. Ultimo dato, non secondario, quello dell’inflazione, che fra aprile e maggio è calata di oltre mezzo punto, dall’8,7 all’8,1%, secondo i dati che sono stati diffusi proprio   ieri dall’Eurostat.

I numeri del miracolo italiano, poi, sono ancora più interessanti se si pensa che la “rimonta” è avvenuta in un periodo segnato da forti tensioni internazionali e dall’incertezza innescata dal conflitto in Ucraina, dagli ulteriori rincari delle materie prime energetiche e dall’avvio della fase restrittiva dell’orientamento della politica monetaria, con l’aumento del costo del denaro deciso dalla Bce.

LA RIPRESA NONOSTANTE TUTTO

Certo, abbiamo ancora tanti problemi da affrontare: il divario territoriale, la bassa produttività del lavoro, il grande nodo dell’invecchiamento della popolazione e delle culle che restano ancora vuote proiettando sul Paese l’ombra scura del declino demografico. Ma, anche per questo, l’economia italiana ricorda sempre  più quell’immagine del calabrone, erroneamente attribuita ad Einstein, che secondo le leggi della fisica non potrebbe volare ma lui non lo sa e quindi vola. L’azienda Italia, nel silenzio assordante dei talk show  e dei titoloni del mainstream mediatico nazionale, continua a correre per la sua strada, incassando risultati record e smentendo, puntualmente, le Cassandre di turno.


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