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Vladimir Putin

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Le cronache non ne hanno parlato ma tra i numerosi punti all’ordine del giorno del vertice straordinario dei leader europei si è aggiunta una ‘’varia ed eventuale’’: Matteo Salvini andrà davvero a Mosca? Sarà ricevuto da Putin nella solennità del Cremlino? Da via Bellerio non arrivano né conferme né smentite, ma si sa che dal magazzino è partita la richiesta di nuove magliette con l’effige dello zar, essendo già esaurita la fornitura precedente.

Se, come ha previsto da tempo Paolo Mieli, i russi stanno vincendo alla grande in Italia, prima o poi quei gadget andranno a ruba come le decorazioni ‘’ante marcia su Roma’’ durante il fascismo. Pare che tutto dipenda dalle comunicazioni, che riceverà da parte del fornitore, con riguardo alla disponibilità delle fatidiche t-shirt che ora sono molto richieste sul mercato interno. È comprensibile che se non fosse in grado di rinnovare il guardaroba Salvini potrebbe rimandare la missione a Mosca.

Intanto, i leader europei hanno terminato il supervertice di ben due giorni assumendo prime decisioni importanti per quanto riguarda la questione dell’approvvigionamento e – in prospettiva – della diversificazione dei prodotti energetici e degli strumenti finanziari per accelerare l’operazione in un contesto comune e condiviso. Va sottolineato, innanzitutto, che si è aperto un dialogo con l’Ungheria, dal momento che questo Paese è divenuto uno snodo cruciale per il suo impegno nell’accoglienza dei profughi dall’Ucraina. Inoltre quel governo – per poter attingere ai fondi del Ngeu (già Recovery plan) – si sta redimendo agli occhi della Unione, poiché ha in atto la modifica delle leggi sulla giustizia considerate dalla Ue lesive dell’indipendenza della magistratura.

Quanto alla guerra in Ucraina, l’Unione è consapevole di essere una comprimaria degli Usa nei rapporti con il governo di quel Paese e quindi anche nelle decisioni di assistenza militare alla resistenza ucraina. Fino ad ora la Ue è stata solidale con le posizioni dell’Occidente, accentuando tuttavia l’azione (all’insegna del ‘’poco ma volentieri’’) per favorire una cessazione del fuoco. È venuto tuttavia il momento in cui una revisione della strategia sembra necessaria. Le milizie russe avanzano nel Donbass, a passo d’uomo, ma facendosi precedere dalla devastazione del territorio. È singolare che Putin si vanti di ‘’liberare’’ delle comunità dopo averle spogliate di tutto e trasformato i villaggi e le città in cumuli di macerie ad ornamento di fosse comuni ricolme di salme di cittadini ‘’ignoti’’. È plausibile che il piano di Putin si ponga l’obiettivo di occupare tutta la costa per eliminare ogni accesso al mare dell’Ucraina e ricongiungere il Donbass con la Transnistria ormai sottratta alla sovranità della Moldavia.

Certo, ci sono ancora delle zone non occupate dalle milizie di Putin e le controffensive ucraine rendono più difficile l’avanzata russa. Ma che cosa intende dire Putin quando risponde che ‘’non è il momento’’ ai leader (come Mario Draghi) che lo chiamano al telefono per parlare di una tregua? Non è complicato interpretare queste parole. Putin vuole conquistare con le armi l’estensione più ampia possibile di territorio corrispondente al suo piano B. Non è un caso che ogni villaggio sia teatro di scontri e che nelle città si combatta casa per casa e nelle strade, nonostante la distruzione preliminare compiuta dai missili e dall’artiglieria pesante. È sempre più evidente – non per scelta di Zelenzky come dicono i «putiniani de noantri» – ma per la volontà del Cremlino che, al momento della tregua, del cessate il fuoco, dell’armistizio o di quant’altro, le regole saranno dettate da ciò che è successo, fino a quel momento, sul campo di battaglia.

Chi scrive vorrebbe vedere Sergei Lavrov in ceppi davanti all’Alta Corte dell’Aia. Ma non ha tutti i torti il ministro/complice di Putin quando afferma che è ‘’poco serio’’ il piano di pace presentato da Luigi Di Maio in sede Onu. È abbastanza improbabile riportare l’orologio della guerra a prima dell’aggressione russa, riattivando quelle intese di Minsk – nel Donbass e in Crimea – che garantivano la sovranità ucraina su quei territori a fronte dell’adozione di uno statuto imperniato sulla loro autonomia. Quando nel 2014 la Russia invase la Crimea, l’Occidente si voltò dall’altra parte. È poco credibile che oggi la Russia si convinca con le buone, quando ormai è persuasa di aver acquisito la sovranità su quella penisola per usucapione. Ciò che vale per Putin, vale anche per l’Occidente. Quando a Silvio Berlusconi è scappato detto che è necessario convincere Zelenzky a dare per persi vaste zone di territorio, gli sono piovute addosso le critiche da tutto il mondo, come ai tempi del ‘’bunga bunga’’.

Tanto che il Cav è stato costretto a correggersi. Perché la linea generale non è cambiata: spetta all’Ucraina decidere quali siano le condizioni per una pace in sicurezza. Fino a quel momento l’Unione europea, la Nato, gli Usa assicureranno a quel popolo martoriato tutta l’assistenza necessaria, inclusa quella militare. Ricordiamo le parole di Draghi: ‘’ La pace deve essere quella che vuole l’Ucraina, non quella imposta da alleati o altri”. Quali conseguenze coerenti si possono trarre allora? Se Putin ritiene che non sia venuto il momento di parlare di pace a meno che l’operazione non si traduca in una resa dell’Ucraina, in mancanza della quale le sorti del conflitto le deciderà il campo di battaglia, Zelenzky non ha alternative.

E se l’Occidente non ritiene giusto imporre la ‘’propria’’ pace (che poi non potrebbe essere diversa da quella incautamente sfuggita a Berlusconi), deve aiutare gli ucraini a difendersi meglio e a contrattaccare. Il Congresso americano ha voluto recuperare quella legge ‘’affitti e prestiti’’ che consentì al grande F.D. Roosevelt (nel marzo 1941) di fornire armamenti all’Impero britannico, alla Cina nazionalista, e, dopo l’invasione tedesca del giugno dello stesso anno, anche all’Urss. Fino ad ora la fornitura di armi all’Ucraina è stata sottoposta a condizioni che non hanno ‘’pareggiato i conti’’ ovvero rese uniformi la potenza e la qualità di fuoco delle forze in campo. All’Ucraina è stata negata la «no fly zone», si è giocato a lungo sul carattere difensivo dell’assistenza militare, non sono arrivati gli aerei promessi nella prima fase degli scontri, la gittata delle armi consente soltanto un combattimento ravvicinato allo scopo di evitare che un ordigno violi i confini con la Russia. In sostanza, le regole di ingaggio delle forze militari ucraine sono più severe e limitate di quelle consentite alle milizie cecene.

Per quanto riguarda il nostro Paese, non si è ancora capito come finirà in Parlamento la questione della fornitura di armi dopo la levata di scudi propagandistica di Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Il bello è che in un sondaggio realizzato da uno dei talk show più ospitali per opinioni filo-russe, è emerso che il 68% degli italiani non condivide la linea di condotta della Nato nella guerra in Ucraina.

A chi scrive è venuto il dubbio che la critica riguardasse un atteggiamento ritenuto troppo prudente. Invece no. Quando si espone l’acronimo Nato si è comunque responsabili. È il peccato originale dell’imperialismo.


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