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I leader del G7

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Chi ha seguito la conferenza stampa di Mario Draghi ha potuto rendersi conto degli esiti effettivi del G7 che si è svolto in Baviera. Sono state soprattutto le risposte che il premier ha dato ad alcune domande a testimoniare che, se la linea generale non è cambiata – anzi, è stata solennemente ribadita – vi sono tuttavia, come vedremo, delle domande che i Grandi della terra cominciano a porsi.

Per quanto riguarda il sostegno alla resistenza ucraina non ci sono ripensamenti: i Paesi del G7 (in particolare i cinque Paesi i cui leader si sono riuniti a parte: ovvero Biden, Johnson, Macron, Sholz e Draghi) hanno confermato l’impegno a sostenere l’Ucraina «per tutto il tempo che sarà necessario» sia con le sanzioni, sia con l’assistenza militare. Direttamente a Zelensky, intervenuto da remoto nella riunione, sono stati promessi aiuti adeguati per la ricostruzione del Paese.

IL “PRICE CAP” SUL GAS

Per quanto riguarda il primo aspetto dell’ordine del giorno c’era la linea da tenere a proposito delle forniture del gas russo, cioè l’adozione di un price cap, come da tempo insiste l’Italia, accompagnata dal rafforzamento dell’utilizzo di altre fonti di approvvigionamento al fine di diminuire la dipendenza dalla Russia.

La decisione formale su questo punto resta affidata al vertice di ottobre. Almeno in via di principio – come hanno osservato diversi commentatori – l’operazione ha compiuto qualche progresso. I Paesi Ue membri del G7 sono riusciti a vincere la riluttanza degli Stati Uniti rispetto all’adozione di un price cap sul gas. Il comunicato finale del vertice riconosce, infatti, la decisione dei Paesi Ue membri del G7 di individuare le modalità più idonee per implementare un generico tetto al prezzo dell’energia: un primo passo significativo, ma ancora tutto da implementare e che non colpirà Mosca nell’immediato.

I LIMITI SUL PETROLIO

Per quanto riguarda, invece, il petrolio, il linguaggio del comunicato è più esplicito e manifesta l’intenzione del G7 di limitare tutte le esportazioni marittime di greggio russo, «a meno che non venga venduto al di sotto di un certo prezzo definito in consultazione con partner internazionali». Nei giorni precedenti Mario Draghi aveva indicato la questione dell’energia e delle sue ricadute sull’inflazione come l’occasione di un rilancio, in autunno, delle forze populiste, che spettava ai governi contrastare con politiche adeguate.

Draghi, durante la conferenza stampa, ha voluto sottolineare alcune iniziative effettuate durante i giorni del vertice: l’invito e gli incontri con altri Paesi africani, asiatici e latinoamericani. Il che potrebbe essere una risposta alla convocazione del Brics da parte della Russia. Importante è anche l’osservazione del premier sulle penalizzazioni che ricadrebbero sul continente africano (30% della popolazione a fronte dl 3% delle emissioni di CO2) se quelle economie dovessero sottostare alle disposizioni della green economy.

L’INCOGNITA BELLICA E IL RISCHIO COREA

Per quanto riguarda la guerra, Draghi ha ammesso che sono in corso riflessioni nell’ambito di quei governi in ragione degli esiti del conflitto sul terreno. È un dato di fatto – ha riconosciuto l’ex presidente della Bce – che la Russia ha fatto dei progressi sul piano militare. Zelensky, durante il suo collegamento, ha assicurato che le truppe ucraine sono in grado di avviare un’ efficace controffensiva. Mentre Draghi svolgeva queste considerazioni, rispondendo a una domanda di un giornalista, il suo atteggiamento poteva essere riassunto in un “staremo a vedere’’. Poi non ha voluto aggiungere altro.

Di certo lo sforzo maggiore sul piano militare è sostenuto dagli anglo-americani, e saranno loro a decidere – insieme al governo ucraino – eventuali modifiche della strategia portata avanti fino a oggi. È comunque evidente che per puntare su di una vittoria militare dell’Ucraina occorrerebbe un impegno più ampio e tempestivo per la fornitura di armi, dal momento che – sul terreno delle sanzioni – dal G7 è emerso che i tempi per il price cap non saranno accorciati. Nelle anticamere delle Cancellerie europee e dello Studio Ovale alla Casa Bianca si sussurra a bassa voce l’ipotesi di una soluzione “coreana” anche per il conflitto in Ucraina.

Quella guerra dimenticata (dal 1950 al 1953) mise in allarme il mondo appena uscito dal secondo conflitto mondiale, dal momento che gli eserciti belligeranti erano quello americano (su mandato dell’Onu) e quello della Cina popolare. Si concluse con un armistizio lungo il 38° parallelo che è diventato, nei fatti, un confine tra due Stati, senza esserlo.

In Ucraina la linea dell’armistizio sarebbe più scomposta, al limite della bizzarria, nel senso che – come si vede nei film comici – potrebbe dividere la cucina dalla camera da letto o i piani bassi da quelli alti perché, al momento del cessate il fuoco, potrebbero essere quelle le posizioni delle forze combattenti.


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