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Vladimir Putin

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«Energia illimitata, pulita ed economica». È in questi termini che, annunciando una svolta negli studi sulla fusione nucleare, gli Stati Uniti si riferiscono all’energia atomica. Gli unici in base ai quali, a ben vedere, dovrebbero essere declinati tutti i discorsi relativi agli sviluppi energetici prodotti dall’atomo. Per il Washington Post si parla di «una pietra miliare nella decennale e costosa ricerca per sviluppare una tecnologia che fornisca» esattamente questo tipo di energia: pulita ed economica. E naturalmente illimitata.

Annuncio che arriverà in contemporanea all’apertura del vertice di Parigi, che metterà sul tavolo del consesso delle Nazioni il dossier relativo al rafforzamento delle strategie esistenti (o la messa a punto di nuove) per il supporto alla resistenza ucraina. Un tema portante radicalmente diverso da quello auspicato qualche giorno fa, quando a più riprese si era parlato di una sorta di “conferenza di pace” venuta fuori a seguito dell’incontro a Washington fra il presidente americano, Joe Biden, e quello francese, Emmanuel Macron.

PROVOCAZIONE NUCLEARE

Del resto, il sentimento della conciliazione non figura al momento in cima alla lista delle priorità, sul fronte russo come su quello ucraino. Anzi, il tema del nucleare continua a imperversare nelle bordate verbali a distanza fra le autorità dei due Paesi, e non in termini di produzione energetica. Secondo il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, Putin non sosterrebbe l’utilizzo di armi nucleari: non tanto per coscienza verso possibili conseguenze, quanto perché «teme la morte».

Una provocazione che arriva, forse non a caso, alla vigilia di un summit che ribadirà le posizioni dei Paesi occidentali in merito al sostegno alla resistenza di Kiev. Nel colloquio con David Letterman, nel contesto di uno speciale su Netflix (anticipato da Ukrainska Pravda), il leader ucraino ha lanciato qualche stoccata all’omologo russo: «Vedo Putin, vedo che ama vivere. Siede perfino a quel lungo tavolo… spaventato dal Covid o altro… Quindi dubito che sia pronto a usare armi nucleari perché capisce che, se dovesse farlo, la rappresaglia degli altri stati potrebbe essere diretta contro di lui personalmente».

Il nucleare, in pratica, dopo essere stato usato per mesi come deterrente, passa ora a strumento di provocazione reciproca. Quasi nell’autoconvinta consapevolezza (purtroppo potenzialmente illusoria) che il passo fatale non verrà fatto da nessuna delle parti in causa. Il che non toglie assolutamente la spada di Damocle dalla testa dell’Europa, né mette al riparo il polo chiave di Zaporizhzhia dalle possibili conseguenze degli attacchi reciproci.

MEDIAZIONE RIFIUTATA

Sul fronte ucraino, al momento, la strada scelta resta quella della resistenza a oltranza. Anche se l’ultima proposta di colloqui di pace in territorio neutro non è stata respinta da Kiev, ma da Mosca. Dopo le non troppo convinte aperture dei giorni scorsi, mascherate da un’attribuzione di responsabilità a carico di Kiev circa la possibilità reale di far cessare le ostilità nell’immediato, la Russia rimanda al mittente la proposta del Vaticano di rendersi territorio per l’istituzione di un nuovo tavolo negoziale.

L’ipotesi era stata avanzata dal segretario di Stato Vaticano, cardinal Pietro Parolin. Decisamente concreta come tentativo di conciliazione, nel momento in cui, dalla Santa Sede, il mondo attende novità quasi esclusivamente sulla possibilità che il Papa vada o no in Ucraina. «Siamo disponibili – aveva detto Parolin – Credo che il Vaticano sia il terreno adatto. Abbiamo cercato di offrire possibilità di incontro con tutti e di mantenere un equilibrio. Offriamo uno spazio in cui le parti possano incontrarsi e avviare un dialogo. Sta a loro individuare la metodologia di lavoro e i contenuti».

Metodologia che, almeno da parte di Mosca, non sembra essere ricercata, almeno non in forma prioritaria: «Temo che i fratelli ceceni e buriati, oltre a me, non lo apprezzerebbero – dice la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Per quanto ricordi, non ci sono state parole di scuse dal Vaticano».

Segno evidente che la strada del dialogo resta ancora estremamente complicata. Evidentemente per mancanza di volontà. Lo stesso presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, nel colloquio con Putin di un paio di giorni fa, avrebbe semplicemente auspicato la risoluzione a breve termine della guerra. Senza nominare la parola pace. Nel frattempo, in attesa di capire quanto potrà essere fatto (e se davvero potrà esserlo) sul piano diplomatico, la guerra continua a mietere sofferenze. Le quali, al momento, si tradurrebbero nella strategia dell’esercito russo di logorare la resistenza dei civili ucraini con bombardamenti a distanza, mirati su quelle infrastrutture in grado di fornire alla popolazione l’autosufficienza energetica.

Zelensky ha lanciato un nuovo allarme sull’approvvigionamento elettrico, spiegando che, dopo i bombardamenti dei giorni scorsi, «i lavori di ripristino continuano nel sud del nostro Paese: stiamo facendo di tutto per ridare luce a Odessa».

Tuttavia, secondo le autorità di Kiev, il ripristino parziale dei rifornimenti potrebbe non essere sufficiente a scongiurare la peggiore delle ipotesi, ossia quella del blackout energetico totale: «A Kiev e regione, la situazione rimane molto difficile. Lavoriamo costantemente con i partner per semplificare le cose e offrire ai nostri dipendenti più opportunità, più elettricità».

RISCHI DI BLACKOUT

Eppure, nonostante gli sforzi, il rischio di restare a secco di energia sarebbe più che concreto. Anzi, il ministro degli Esteri Dmitry Kuleba, intervistato da Ard, ha definito «piuttosto realistico» lo scenario del blackout totale. Senza tuttavia aspettarsi un esodo di massa, nonostante le condizioni difficili. Nel colloquio avuto con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a Zelensky sarebbe stato assicurato un sostegno continuo, indicando come priorità il rafforzamento delle difese aeree.

In una nota, la Casa Bianca ha riportato i termini della conversazione telefonica intercorsa fra i due presidenti, sottolineando come «gli Stati Uniti stiano dando la priorità agli sforzi per rafforzare la difesa aerea dell’Ucraina» con lo stanziamento di 275 milioni di dollari in munizioni. Colloquio che Zelensky ha definito «fruttuoso». E senza dubbio lo sarà per quel che riguarda il sostegno diretto alla resistenza. Il lavoro ai fianchi affinché le parti in causa si vengano incontro, al momento, non sembra altrettanto efficace.


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