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Il porto di Taranto

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OGGI affronto un tema “divisivo”, un tema ed un mio approccio che troverà la maggior parte dei lettori non d’accordo, non d’accordo su un mio personale convincimento che ormai trova una maggioranza consolidata nel Paese, una maggioranza completamente convinta della validità di una linea che, quasi in modo trasversale, trova un consenso difficilmente incrinabile. Mi riferisco al rinnovo, da parte del nostro Paese, del Memorandum Of Understanding relativo al progetto Belt and Road Iniziative (la Via della Seta). Ricordo che il progetto era stato concepito dalla Cina, come preciserò dopo, nel 2008 e lanciato in modo formale a scala mondiale nel 2013 e l’Italia (unico Paese del G7) aveva firmato nel 2019 il primo Memorandum Of Understanding.

La premier Meloni intervenendo ad un convegno a Milano promosso da Assolombarda ha fatto emergere tutta la criticità di una scelta che dovesse portare al rinnovo di un simile atto. La premier ha infatti precisato: “Il tentativo degli Stati Uniti di rendersi più indipendenti da Pechino offre a noi la opportunità di porci come fornitore alternativo”. In realtà una linea strategica caratterizzata da una presa di distanza dal progetto e dal relativo MOU costruendo nuovi accordi bilaterali come, in fondo, hanno già fatto la Francia e la Germania.

Ora mi chiedo perché tanta ipocrisia e mi convinco ancora una volta che per capire la intera finalità strategica che caratterizza la Via della Seta sia necessario soffermarsi un attimo su quello che ormai considero la storia dell’intero progetto. Affronto per questo alcuni passaggi che rappresentano l’inizio delle attività progettuali e ricordo che fui invitato nel febbraio del 2008 ad un summit mondiale sulla logistica a Pechino e, in quella occasione, il Governo cinese anticipò il progetto Belt and Road Iniziative ribadendo che scopo primario del progetto era quello di poter disporre di due distinti corridoi nel collegamento tra il sistema dei Paesi asiatici e il sistema dei Paesi della Unione Europea; un Corridoio terrestre ed uno marittimo. Addirittura per quello terrestre il collegamento ferroviario Pechino – Amburgo rappresentava l’esperimento in fase di maggior approfondimento ed io ingenuamente chiesi quando pensavano di renderlo operativo, la risposta fu immediata: da sei mesi, (cioè già dal 2007), abbiamo già due treni a settimana che collegano Pechino con Amburgo e nei prossimi mesi sperimenteremo un collegamento con il centro intermodale di Mortara in Italia.

In realtà in quella occasione apprendemmo che non si trattava solo di ipotesi programmatiche ma di scelte già diventate operative e, sempre in quella occasione, ci anticiparono che era in corso un confronto sistematico con alcuni Paesi del continente africano come il Kenya e la Nigeria per il collegamento marittimo; un collegamento che coinvolgeva sia l’Africa che la intera Unione Europea. Poi il Governo Renzi prima, il Governo Gentiloni dopo ed infine il Governo Conte non solo apprezzarono la proposta ma capirono che non era possibile cambiare nulla in ciò che la Cina aveva disegnato strategicamente e i vari Governi italiani si resero conto che nel progetto cinese erano anche indicate rilevanti potenzialità logistiche non solo nei porti di Genova, Livorno e Trieste ma anche in quelli di Cagliari, Augusta e Taranto. Ma continuando a leggere attentamente non solo le progettualità ma anche le opere, opere che dal primo momento della iniziativa (2008) ad oggi in molti casi sono diventate realtà, abbiamo scoperto due ulteriori scelte che testimoniavano anche un possibile ridimensionamento delle movimentazioni nel bacino del Mediterraneo. Mi riferisco in particolare alla realizzazione del porto di Mombasa e alla realizzazione dell’autostrada Mombasa – Lagos, un impianto infrastrutturale che pur con due rotture di carico offre però alle merci provenienti dalla Cina e dirette verso le Americhe la possibilità di fare scalo a Mombasa e raggiungere Lagos evitando il canale di Suez e quindi non sottostando alle folli tariffe imposte dalla Società egiziana per l’attraversamento del canale.

Ma oltre a Mombasa la Cina sta ridando funzionalità al porto irakeno di Bassora e contemporaneamente sta proponendo la realizzazione di un asse plurimodale (ferrovia e strada) che da Bassora raggiunge le città di Bagdad e di Mosul e, attraversando la Turchia, si aggancia al Corridoio 10 delle Reti TEN – T e in tal modo accede al centro della Unione Europea. Solo per memoria storica ricordo che la Cina sta attuando una scelta pianificatoria prodotta dall’Italia nel 2003 quando redigemmo, come Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Piano dei Trasporti dell’Iraq.

Quindi, quella che la Cina ha programmato ed ha cercato di attuare è una azione ricca di interessi strategici e di misurabili effetti di convenienza, tuttavia pensare che tutto questo si configuri come un’azione espansionistica o come un articolato sistema di convenienze a danno degli Stati Uniti mi sembra quanto meno discutibile. D’altra parte questo corretto comportamento mirato a non incrinare i rapporti con gli Stati Uniti, a non incrinare mai il nostro Dna atlantista, entra in crisi di fronte alle dichiarazioni della Segretaria al Tesoro Usa Janet Yellen che nell’incontro con il vice premier cinese He Lifeng ha dichiarato ultimamente: “Gli Stati Uniti non vogliono una competizione dove chi vince prende tutto, ma una serie di regole eque che favoriscano entrambe le parti. Non c’è da parte nostra alcuna strategia di decoupling”. E sempre la Yellen ha ricordato: “Nel 2022 l’interscambio tra Usa e Cina ha raggiunto il record di 690 miliardi di dollari ed è mia convinzione che le nostre economie possono integrarsi in modi non controversi”. Ed allora se la Francia e la Germania stanno già definendo accordi bilaterali che in fondo contemplano anche punti chiave del progetto Belt and Road Iniziative, se gli Usa danno consistenza a simili incontri e rilasciano dichiarazioni così cariche di convinta collaborazione con Pechino, mi chiedo perché dobbiamo abbandonare questo treno solo per dimostrare di essere (da soli) contrari ad un rapporto strategico di ampio respiro con la Cina? Lo so, come dicevo all’inizio, è un tema questo che ho tentato di esporre molto divisivo, addirittura c’è un forte scontro all’interno degli stessi schieramenti politici presenti oggi in Parlamento, tuttavia vorrei che tutti ci liberassimo di pregiudizi.

Io sono il primo a condannare la folle linea portata avanti dal presidente Conte quando teorizzava una politica estera basata sulla idea dell’equa vicinanza di Roma a Washington e Pechino; oggi però tutti ci siamo convinti della limitatezza e della assurdità di quella linea e quindi il presidente Meloni potrebbe firmare il Memorandum Of Understanding inserendo questa chiara interpretazione delle finalità del progetto: solo un riassetto funzionale del sistema logistico e commerciale dei teatri economici che direttamente ed indirettamente coinvolgano la Cina ed il nostro Paese e ribadirei che in questo nuovo impianto riteniamo essenziali le azioni e le scelte che daranno un nuovo ruolo strategico, soprattutto per le attività di transhipment, a tre nostri impianti portuali, quelli di Cagliari, Augusta e Taranto.


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