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COMUNEMENTE si dice che tre indizi fanno una prova. Questa sorta di equazione deriva da una nota espressione di Agatha Christie, secondo cui: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Questa equazione, naturalmente, non ha alcun valore nel diritto penale di uno Stato di diritto come quello italiano, dove per poter condannare un imputato non bastano i semplici indizi, ma ci vogliono prove irrefutabili e inoppugnabili. In economia, però, è un’altra cosa e la storia degli indizi può voler dire qualcosa.

I DATI DA RECORD  

Di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di quelli che gli economisti chiamano indicatori macroeconomici. Sono numeri statistici misurati facendo riferimento a un preciso arco temporale e sono importanti per valutare e, soprattutto, misurare lo stato di salute di una nazione. Essi forniscono tutta una serie di informazioni indispensabili per conoscere e prevedere il rafforzamento oppure l’indebolimento di una economia nazionale (vale anche se si vuole stabilire come sta andando un’economia continentale o addirittura mondiale).

Ebbene, nel caso dell’Italia, proprio questo mese l’Istat ha fornito una serie di dati macro su occupazione consumi, export e fatturato industriale. La disoccupazione nel primo trimestre è scesa all’8,6% e, in un anno, sono stati creati 905mila nuovi posti di lavoro. I consumi nel 2021 sono lievitati del 2,8%. A maggio, per l’interscambio commerciale, l’Istat ha stimato un aumento dell’export con i Paesi extra-Ue 27 (+4,7%) e una diminuzione dell’import (-0,7%). L’ultima “ciliegina” è rappresentata dal dato del fatturato dell’industria nazionale reso noto ieri dall’Istat che ad aprile ha segnato un nuovo record: +2,7% rispetto a marzo. L’indice destagionalizzato ha toccato il livello più elevato dall’inizio della serie storica, a gennaio 2000.

Rispetto all’anno precedente, corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 19 contro i 21 di aprile 2021) il fatturato totale è aumentato in termini tendenziali addirittura del 22%, con incrementi del 21,8% sul mercato interno e del 22,5% su quello estero.  L’Istat ha commentato i dati sostenendo che la dinamica congiunturale «risulta meno accentuata, considerando l’indicatore in termini di volume, disponibile per il comparto manifatturiero». I dati in volume per la manifattura indicano infatti un incremento dell’1,1% ad aprile rispetto a marzo e del 5,5% rispetto all’anno precedente.

Tornando ai dati in valore per il complesso dell’industria, ad aprile l’aumento mensile del fatturato riguarda con la stessa intensità le componenti interna ed estera. Tra i raggruppamenti principali di industrie, gli indici destagionalizzati del fatturato segnano aumenti congiunturali per l’energia (+6%), i beni strumentali (+3,5%), i beni di consumo (+2,1%) e i beni intermedi (+2%).  

I NUMERI DELLA RESILIENZA

Rispetto all’anno precedente, inoltre, l’Istat ha registrato incrementi tendenziali molto marcati per l’energia (+64,4%), i beni intermedi (+30,3%) e i beni di consumo (+21,9%); più contenuto l’aumento per i beni strumentali (+4%). «Tutti i settori di attività economica mostrano una crescita in termini tendenziali, ad eccezione dei mezzi di trasporto» diminuiti del 18,3%.  

«La dinamica risulta, tuttavia, meno accentuata considerando l’indicatore in termini di volume, disponibile per il comparto manifatturiero» aggiunge l’Istituto nazionale di statistica. «In termini tendenziali, al netto degli effetti di calendario, si registra un incremento marcato del valore del fatturato sia in termini complessivi sia con riferimento ai principali raggruppamenti di industrie, con aumenti particolarmente significativi per il comparto energetico. Anche in questo caso la crescita in volume risulta molto più contenuta».

Guardando al trimestre febbraio-aprile 2022, l’indice complessivo è cresciuto del 6,6% rispetto al trimestre precedente (+6,4% sul mercato interno e +7% su quello estero). I dati statistici richiamati sopra, considerati e valutati separatamente, sono indubbiamente positivi, molto interessanti, ma se si leggono combinandoli e disponendoli all’interno di un quadro d’insieme, ne scaturisce l’immagine di un Paese incredibilmente resiliente. Nel senso della capacità di fronteggiare lo stress e le avversità uscendone rafforzati, di saper resistere e riorganizzare positivamente la propria vita e le proprie abitudini a seguito di un evento critico negativo. Si tratta  di una reazione attiva alla frustrazione e al disagio, di una risposta tesa a trovare nuove possibilità e nuove prospettive di evoluzione e promozione del benessere.  

UN OSTACOLO DOPO L’ALTRO

Non sono infatti bastati un’inflazione ai massimi dal 1986 (+6,9%), la guerra in Ucraina (dura da 130 giorni) che ha contribuito a far accelerare le quotazioni delle materie prime (non solo energetiche, con conseguente ripercussioni sui consumi di gas e elettricità, di gasolio e benzina che hanno subìto un incremento dei costi a doppia cifra, dei metalli industriali e dei generi alimentari), il ritocco all’insù dei tassi di interesse applicati dalle banche ai clienti per mutui e prestiti e la pandemia (non ancora debellata), a far venire meno la fiducia del Paese in se stesso e degli italiani nelle loro capacità.

In questo senso il direttore del nostro giornale, Roberto Napoletano, in uno dei suoi editoriali, ha parlato di «miracolo italiano», facendo riferimento al fatto che l’Italia, nonostante tutto non soltanto sta in piedi, ma grazie all’intraprendenza, al coraggio, alla perseveranza di imprenditori, lavoratori, famiglie e del governo è stata capace di bypassare gli ostacoli e rimettersi in corsa.

Gli italiani, insomma, sono tornati ad essere artefici del loro destino e possono recitare nuovamente un ruolo da protagonisti in Europa e nel mondo.


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