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L'ex presidente del Consiglio Mario Draghi

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TORNARE alle vecchie politiche nell’Eurozona, quelle sospese durante la pandemia, sarebbe un errore per l’Europa, «il peggior risultato possibile»: il monito è di Mario Draghi che, un anno dopo aver lasciato Palazzo Chigi, torna a far sentire la sua voce. Un intervento autorevole che rafforza la posizione negoziale dell’Italia nel momento in cui si prepara ad affrontare il difficile confronto sul nuovo Patto di stabilità.

IN EUROPA REGOLE SEVERE MA PIÙ FLESSIBILI

Secondo l’ex premier la costruzione di un’Europa più forte passa per una sola via: quella che porta a nuove regole di bilancio, severe ma più flessibili, e a una maggiore condivisione della sovranità. Significa che i governi dell’Eurozona devono trasferire un numero crescente di deleghe dalle loro capitali a Bruxelles. Con un intervento sull’Economist online, l’ex presidente della Bce mette dunque in guardia sul futuro del Vecchio Continente e sulla sua capacità di competere a livello globale. E lo fa mentre a Bruxelles si discute sulla riforma del Patto di stabilità e di crescita che, secondo i piani, dovrebbe vedere la luce il 1° gennaio. La sospensione decisa prima per il Covid e poi per la guerra in Ucraina scadrà alla fine dell’anno. Il suo messaggio è chiaro: senza un’azione rapida ed efficace sarà impossibile raggiungere obiettivi comuni come quelli sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici o della sicurezza.

Parole che sono destinate a diventare una religione per l’Italia e per tutta l’Europa, così come quando nel 2020 aveva parlato di debito buono e di debito cattivo dinanzi alla platea di Comunione e Liberazione. Oggi come allora il messaggio sarà ascoltato con attenzione anche a Berlino. La Germania, con il Pil in calo e gli indici dei mercati in affanno, è diventata la nuova malata d’Europa.

DRAGHI E L’EUROPA: COESIONE INDISPENSABILE

«Le strategie che nel passato hanno assicurato la prosperità e la sicurezza dell’Europa, affidandosi all’America per la difesa , alla Cina per l’export e alla Russia per l’energia – dice Draghi – sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili». Per questo per l’ex premier forgiare un’Unione più coesa è l’unica strada per garantire il benessere dei cittadini europei. Draghi sottolinea come gli shock provocati prima dalla pandemia, poi dal conflitto in Ucraina e dalla conseguente crisi energetica abbiano prodotto in Europa una risposta comune impensabile fino a qualche tempo fa, avvicinando le posizioni tra i Paesi più forti e quelli più deboli. La conferma che lo sviluppo dell’Unione europea non è lineare, ma procede a balzelloni crisi dopo crisi.

Questa la base da cui partire, per una svolta che dia all’Unione europea una maggiore capacità di affrontare quelle sfide globali che richiedono «vasti investimenti in poco tempo»: come la transizione verde o quella digitale. In particolare, la ricetta, per l’ex presidente della Bce, è superare quelle regole di bilancio e sugli aiuti di Stato che limitano la capacità dei singoli Paesi di agire in maniera indipendente. Non è così in America, ricorda Draghi «dove l’amministrazione Biden sta allineando la spesa federale e gli incentivi fiscali al perseguimento degli obiettivi nazionali».

PER DRAGHI PIÙ POTERI AL CENTRO

Ma rilassare semplicemente le regole di bilancio e quelle sugli aiuti di Stato, permettendo agli Stati membri di accollarsi tutto il peso degli investimenti necessari, per Draghi sarebbe un approccio sbagliato. La via maestra – scrive l’ex premier – è invece quella di ridefinire il quadro delle politiche di bilancio della Ue e i processi decisionali. Dunque nuove regole che siano severe, per garantire finanze statali credibili nel medio termine, ma anche abbastanza flessibili, per permettere ai governi di reagire a shock imprevisti. E poi «trasferire più poteri di spesa al centro». E in vista di ulteriori allargamenti della Ue ai Balcani e all’Ucraina, Draghi invita a «evitare di ripetere gli errori del passato, espandendo la periferia senza rafforzare il centro». «Il rischio – assicura – è di annacquare la Ue piuttosto che rafforzare la sua capacità di agire».


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