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LA PRIMA vera notizia è che il Sud non solo ha agganciato il treno della ripresa post-Covid, ma ha addirittura superato i vagoni del Centro-Nord. La seconda notizia è che il trend non si è arrestato nel 2023, smentendo chi aveva previsto (e le Cassandre sono state tantissime) una possibile recessione già a partire da quest’anno. E, invece, la storia è stata diversa. In recessione c’è finita la Germania, nelle secche della crisi si sono impantanati i cugini francesi mentre lo stellone italiano ha conquistato il podio della crescita europea. Anche per questo per merito, e non poco, dell’economia meridionale.

E’ sufficiente leggere le anticipazioni del rapporto Svimez, presentate ieri, per avere l’esatta dimensione del fenomeno. Fra il 2020 e il 2022, il Sud è cresciuto infatti del 10,7%, ad un passo dal dato del Nord-Est (11%) e più dell’altrettanto ricco Nord-Ovest (+9,9%), le tradizionali locomotive del nostro Paese. Erano anno che non si vedeva un dato così “convergente” nelle traiettorie del Pil. Certo, non sufficienti per colmare il gap più lungo e più profondo fra i Paesi occidentali. Ma sono tutti segnali di un’economia che sta invertendo il suo segno.

Troppo ottimismo? Restiamo con i piedi per terra e leggiamo ancora i numeri dell’autorevole Svimez per renderci conto che, questa volta, non si tratta solo dell’effetto ottico del rimbalzo post-pandemico di consumi e investimenti. Anche nel 2023, infatti, l’economia meridionale è rimasta saldamente agganciata al treno della ripresa della restante parte del Paese, con una differenza di appena un decimale di punto quest’anno e un massimo di 0,3 punti nel biennio successivo. Non è neanche detto che i dati possano essere addirittura migliori. Perché se gli investimenti del Pnrr dovessero effettivamente marciare a regime e produrre gli effetti sperati, il Pil del Meridionale sarebbe pari a quello del Centro Nord, azzerando di fatto il divario di crescita Nord-Sud. Sono sempre parole della Svimez. Un miracolo nel miracolo italiano, verrebbe da dire. Ma anche un “miracolo” che affonda le sue radici nel terreno concreto e non “teorico” dell’economia reale, quella che i media non raccontano, gli economisti più accorsati ignorano, lasciando filtrare non solo un’immagine sbiadita ma, soprattutto, falsa del Mezzogiorno. Dimenticando, che un’impresa su tre made in Sud fa parte della ristretta categoria di quelle che soddisfano i requisiti della “Smart Specialization strategy”, cioè quelle con performance economiche e livelli di investimento superiori alle relative medie settoriali.

C’è poi la grande opportunità offerta dal Mediterraneo, tornato al centro delle correnti del traffico internazionale. O, ancora, la crescita di filiere strategiche che possono trasformare il Sud in un polo di attrazione degli investimenti dall’estero e in “un attore produttivo e tecnologico nel contesto europeo”: energia e ambiente, aerospazio (con punte di iper-specializzazione localizzate in Campania e Puglia), chimica verde, design e made in Italy, agroalimentare. Senza contare, poi, quel moltiplicatore di sviluppo che potrebbe essere la Zes che il governo è riuscito a far estendere a tutto il Sud. O l’ingente dote dei fondi Ue 2021-2027 (100 miliardi) che si aggiungono al tesoro del Pnrr. Sfide per niente scontate e da vincere.

Ma è anche vero che, per invertire il segno, occorre cambiare radicalmente i riti del vecchio e nuovo meridionalismo. Gli esperti di comunicazione parlerebbero dello story-telling. Qui consigliamo solo di raccontare la verità di un mondo capovolto.


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