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La Camera dei deputati

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C’è il bla bla sui partiti che progettano il futuro per il 2050 e magari chiedono consiglio alle Sardine, e ci sono le urgenze di un paese che non deve perdersi a fantasticare, ma lavorare duro per affrontare le scelte che abbiano davanti subito.

Per questo converrebbe dedicare attenzione a ciò che il ministro dell’economia Franco ha detto in audizione alle Commissioni Bilancio, Finanze, Politiche europee di Camera e Senato. Oltre all’urgenza di veder marciare finalmente il piano vaccinale, c’è la scadenza del 30 aprile, data entro cui dobbiamo mandare a Bruxelles quel famoso PNRR che secondo gli annunci del precedente governo avrebbe dovuto essere quasi terminato mentre scopriamo che dovremo correre per non giungere fuori tempo massimo.

Intanto veniamo informati che non stiamo parlando dei 209 miliardi strombazzati a destra e a manca, ma solo di 191,5. Sempre tantissimi, ma sono anche 17,5 in meno del previsto. Il problema non è ovviamente in questo scostamento, ma nella persistente assenza di una presenza della politica su un tema così delicato.

Non intendiamo certo far passare l’idea che i partiti siano disinteressati ad essere della partita: i loro fari sono puntati sul malloppo e dietro le quinte sono in molti a tenerci gli occhi puntati addosso. Il governo lo sa e ne tiene conto, tanto che il ministro Franco ha messo in chiaro che avvierà “un dialogo durevole e intenso” col parlamento, che è poi lo snodo per arrivare anche al resto.

Il problema è coinvolgere il paese in questa operazione gigantesca che deve durare sei anni e soprattutto reggere per tutto quel tempo, perché i finanziamenti non arrivano a scatola chiusa, ma per obiettivi raggiunti e c’è da prevedere che i controlli a livello europeo saranno “occhiuti”.

Non si tratta, siamo chiari, di fare le robe all’italiana: in un paese in cui tutti sono allenatori di calcio e strateghi mondiali, non arriviamo adesso al tutti esperti su come investire la montagna di soldi in arrivo. Stiamo parlando proprio del contrario: sarebbe necessario far crescere nell’opinione pubblica la consapevolezza di quel che si può e di quel che non si può fare con quei finanziamenti nonché dello sforzo e delle difficoltà implicite nel raggiungimento degli obiettivi. 

Ammettiamo che non si parte bene. Sconsideratamente si è lasciata maturare l’illusione che con i soldi in arrivo da Bruxelles si potessero sistemare tutte le più diverse aspettative: dalla riduzione delle tasse (impossibile, ma era stato ventilato) alla sistemazione di tutte le arretratezze che abbiamo accumulato (incluse quelle che sono derivate dalla nostra incapacità di spendere finanziamenti europei che pure avevamo già avuto).

Chi ha seguito quel che è successo nei mesi passati sa bene che all’appello del precedente governo a mandare proposte ministeri e uffici vari a livello regionale e comunale hanno svuotato i cassetti mandando i più svariati progetti che avevano elaborato da anni, a volte in risposta ad esigenze effettive, a volte per inseguire pressioni di diversa natura. E’ quasi tutto finito nei cestini e si potrebbe concludere: pace all’anima loro (ammesso che ne avessero una). Ma non è così.

Chi spiega alla gente che almeno per alcune di quelle riforme che sono ora necessarie e molto impegnative non si vedrà apparentemente alcun … manufatto? Se costruisci una linea ferroviaria la vedi, se metti in piedi una fabbrica ha un indirizzo, ma se riformi la pubblica amministrazione o la giustizia cosa mostri alla gente? Ovviamente stiamo parlando di due cambiamenti che in termini di ricaduta sul sistema ne avranno molta di più e metteranno in campo dei “moltiplicatori” infinitamente più grandi, ma ciò non toglie che siano interventi non immediatamente “visibili” e che dunque vanno spiegati e sostenuti.

Se non lo si fa, sarà molto più difficile vincere le resistenze che verranno da tutti coloro che quelle riforme proprio non le vogliono, perché perdono le loro comode riserve di potere. Se semplificate le procedure legislative, arriveranno quelli che si stracciano le vesti perché così si facilita la corruzione, se si riforma il sistema della giustizia insorgeranno quelli che vedono dovunque vie per facilitare le cose a chi si può permettere questo o quello, se si apriranno procedure più rapide per dotare le pubbliche amministrazioni di personale all’altezza si leveranno le denunce di coloro che vedranno dappertutto nepotismi e clientelismi.

Buttiamo lì alcune banali previsioni, ma se in questo paese sono decenni che le riforme vengono invocate e non si riescono a fare, qualche ragione ci sarà. Ebbene è qui che i partiti devono essere chiamati in causa. Tocca a loro formare e guidare l’opinione pubblica ad avere quell’approccio simpatetico alla fatica che costerà mettere a frutto i 191,5 miliardi resi disponibili dalla UE, approccio senza il quale sarà molto difficile farli fruttare nei tempi contingentati che avremo a disposizione.

Sono i partiti tutti che devono assumersi questo carico di responsabilità. Mentre lo scriviamo, ci rendiamo conto dell’enormità della cosa: chiediamo alle forze politiche di rinunziare a fare “gli avvocati del popolo” (ovvero delle loro clientele), esercizio remunerativo nei vecchi tempi, per divenire dei costruttori di futuro.

Ma è esattamente ciò che serve se vogliono conservare un ruolo nei sistemi democratici senza spingerli a consegnarsi all’alternativa fra utopismo da avanspettacolo e tecnocrazia senz’anima.


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