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Un progetto di Ponte sullo Stretto di Messina

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A DICHIARARE lo stop al Ponte sullo Stretto nel 2011 fu il governo tecnico di Mario Monti. Dieci anni dopo, nel 2021, un altro esecutivo guidato da una figura estranea ai partiti come Mario Draghi potrebbe riaprire il dossier. Sarebbe un’opera dall’alto valore simbolico per segnare la rinascita del Paese dopo vent’anni di stagnazione culminati nel Covid. Così come l’Autostrada del Sole, costruita in soli quattro anni era stato il traguardo della ricostruzione post-bellica.

La porta del Ponte è molto stretta viste le divisioni che attraversano la maggioranza. Questa volta a dare il via libera dovrà essere direttamente il Parlamento dove il dossier approderà in prima battuta il 12 maggio. Ad esaminarla la Commissione Trasporti della Camera guidata da Raffaella Paita. In apparenza la strada sembra spianata. Ma purtroppo è il gioco degli specchi. A marzo c’è già stato un primo voto favorevole. Era stata approvata la proposta nata in casa Pd. A formularla la relatrice Enza Bruno Bossio con l’approvazione del M5s tranne il pentimento successivo.

Il testo rimandava la decisione finale al parere del gruppo di lavoro istituito presso il ministero dei Trasporti dall’ex ministra Paola De Micheli.

Adesso la risposta è arrivata ed favorevole. A questo punto scoppia la bagarre. Il parere della commissione, infatti, esclude il tunnel e promuove l’ipotesi del collegamento a tre campate. Sembra un dettaglio ma è la svolta che potrebbe rimettere l’opera in frigorifero per chissà quanto tempo. Il progetto che era stato approvato prima dello stop di Monti prevedeva un collegamento ad una sola campata che copriva i cinque chilometri dello Stretto. Se dovesse passare il programma della commissione sarebbe necessario rifare tutto dall’inizio.

Un’ipotesi che forse non dispiace al ministro Giovannini. Ha ricordato in più di un’occasione che il Ponte non si può fare con i soldi del Recovery perché “non ci sarebbe modo di metterlo in esercizio entro il 2026”. Le indicazioni che arrivano dalla Commissione europea sono chiare: i soldi per le opere pubbliche saranno erogati solo per quelle che prevedono lotti effettivamente fruibili, entro il 2026. E il ragionamento del ministro è che è impossibile realizzare il Ponte entro quella data Ma i partiti che hanno fatto fronte comune per il Ponte sostengono una linea differente. Innanzitutto non è da escludere che, tenendo buono il vecchio progetto, il ponte possa essere completato entro il 2026 considerando che l’Autostrada del Sole, senza le tecnologie moderne è stata costruita in quattro anni. Il riferimento preso ad esempio è la ricostruzione del ponte Morandi crollato a Genova. E non è un caso se sempre nel parere si chiede al governo di adottare “il modello Genova” per velocizzare tutte le opere strategiche.

L’altra obiezione all’esecutivo è che il Ponte può uscire dalla logica dell’infrastruttura principalmente viaria dato che intorno alla struttura principale potrebbero insistere infrastrutture, come le ferrovie, accettate e anzi sostenute dall’Europa. Ma è alla questione principale che Giovannini ha sollevato per tenere il Ponte fuori dal Recovery che punta il parere. Nel caso in cui non fosse possibile realizzare il Ponte entro il 2026 potrebbero essere attivi altri lotti funzionali dell’opera, come ad esempio le rampe di accesso, i collegamenti tra la ferrovia e il Ponte, ma anche l’infrastruttura sensoriale per la sicurezza del Ponte stesso. Insomma si potrebbe dire a Bruxelles che entro il 2026 comunque ci sarà un pezzo di Ponte. I resto potrebbe arrivare con i fondi nazionali oppure sfruttando la disponibilità dei grandi fondi internazionali che investono in infrastrutture.

Valga per tutti l’esempio degli australiani di Macquarie pronti a investire in Autostrade per l’Italia dopo aver preso il 40% di Open Fiber. Anche gli americani di Kkr hanno messo una puntata sulla rete di Tim.  Su queste premesse le polemiche infuriano . Per il responsabile nazionale Infrastrutture della Lega Edoardo Rixi “Il Ponte sullo Stretto garantirebbe per 4 anni l’assorbimento dell’acciaio prodotto a Taranto oltre a rappresentare una cerniera col continente per l’alta velocità e l’alta capacità ferroviaria”.

Insomma, per l’ennesima volta si fatica a trovare la quadra su quella che da più parti è definita come l’unica opera immediatamente cantierabile per il Sud portando l’Alta Velocità da Helsinki a Palermo.

Chi non ha smesso di crederci è il gruppo Webuild. Pochi giorni fa l’amministratore delegato Pietro Salini è tornato sull’argomento annunciando che l’opera potrebbe mobilitare fino a centomila posti di lavoro. Come sempre però il diavolo sta nei dettagli: il progetto preparato da Webuild quando ancora si chiamava Impregilo prevedeva una sola campata. Il parere della commissione istituita dal ministero dei Trasporti, invece, preferisce quello a tre campate. Se passa questa linea il Ponte non nascerà mai perché bisognerà fare tutto daccapo.


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