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LA PARTECIPAZIONE minoritaria dei magistrati allo sciopero proclamato dalla loro Associazione di categoria per contestare la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura, approvata dalla Camera dei deputati ed ora all’esame del Senato, mostra quanto il ricorso a quello straordinario strumento di protesta fosse inappropriato e inopportuno. La pressione che l’Associazione nazionale magistrati (ANM) intendeva esercitare sul Parlamento, ricorrendo allo sciopero politico per ottenere modifiche al testo in discussione, ha ottenuto un risultato opposto a quello che si intendeva raggiungere.

La maggioranza dei magistrati non ha aderito allo sciopero, con largo margine nei grandi uffici giudiziari. Non si è verificata quella opposizione massiccia alla riforma, che veniva prefigurata sino a segnalare il rischio della lesione di garanzie che la costituzione assicura alla magistratura. Ne deriva che la riforma, anziché subire quanto meno una battuta d’arresto ed essere modificata nel senso richiesto dalla categoria, è da presumere che riceverà una accelerazione per la sua approvazione e consoliderà gli elementi innovativi che contiene. Del resto non si tratta di una riforma che rivoluziona l’attuale assetto, ma piuttosto di interventi prudenti, improntati a un metodo gradualista.  

La rafforzata presenza dell’avvocatura nei Consigli giudiziari, la riduzione del numero di passaggi, nel corso della carriera, dalle funzioni giudicanti a quelle del pubblico ministero o viceversa, le limitazioni introdotte alle modalità di rientro nelle funzioni dopo l’impegno in competizioni elettorali o l’aver ricoperto cariche elettive o di collaborazione politico amministrativa, possono essere considerate opportune o meno, adeguate, ininfluenti o come altro si voglia.

Certamente non sconvolgono il sistema e non meritano l’uso ci un allarme così potente quale è lo sciopero di chi, come la magistratura, esercita con appropriate garanzie di indipendenza un potere dello Stato. Garanzie che non sono sconvolte neanche dalla documentazione sulla attività e produttività di ciascun magistrato destinata ad essere raccolta  dal Consiglio Superiore della Magistratura  (CSM), quale strumento di conoscenza e di possibile valutazione della professionalità. Anche in questo ambito possono essere considerate opportune o meno, efficaci rispetto al fine oppure inappropriate e inutili le modalità con le quali si interviene.

Ma sembra inappropriato passare dalla manifestazione del dissenso allo sciopero di tendenziale ostruzione da parte di chi esercita il potere giudiziario nei confronti del potere legislativo. Tanto più che la magistratura può ben rappresentare le criticità che si presentano in un disegno di legge che riguarda la giustizia con la forza argomentativa e il rilievo istituzionale che hanno i pareri del Consiglio superiore della magistratura.      

L’adesione minoritaria allo sciopero deve far riflettere anche l’ANM, che pure ha molti meriti nel dibattito culturale e nel promuovere l’applicazione del diritto adeguata ai principi della costituzione. La moderata riforma del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura offre un banco di prova dell’autoriforma che anzitutto deve investire la stessa ANM e le sue correnti, sia nella caratura delle candidature sia nella garanzia di effettiva indipendenza di chi sarà eletto. 

Sullo sfondo rimane il ruolo stesso del CSM, che se si atteggia ad organo di governo della magistratura,  che mediante  il controllo delle carriere esercita un potere sui magistrati,  rischia di perdere il carattere di organo di garanzia dell’indipendenza di ciascun magistrato anche nei confronti della corporazione di appartenenza.  


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