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I leader del Centrodestra Berlusconi, Meloni e Salvini

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Le incertezze della geografia politica rilevate dalle tornate elettorali di questo 2020 spingono un po’ tutti i partiti a riflettere sul proprio futuro che, complice il cambiamento di umori della pubblica opinione generato dalla pandemia, non appare facile da decifrare.

Il problema più marcato riguarda il blocco di centrodestra, che un anno fa pareva sulla via della conquista del potere e che ha perso gran parte delle partite in cui si è impegnato: sicuramente quelle più simboliche. Come sempre la colpa è di chi guida il carro, cioè di Matteo Salvini e della impostazione che lo ha guidato prima ad ottenere un prodigioso avanzamento della Lega, ricevuta in pessime condizioni, ma poi a disperdere e sciupare quel risultato. Più o meno la stessa cosa che è accaduta ai Cinque Stelle.

La spiegazione è abbastanza semplice: i successi che si ottengono cavalcando gli animal spirits del momento non portano lontano, a meno che non si sia capaci di dominarli poi incanalandoli in una solida prassi di governo. L’impresa è tutt’altro che impossibile come dimostra l’esperienza di Zaia in Veneto, ma ci vogliono delle capacità per portarla a termine.

IL RITORNO AL CENTRO

L’andamento delle elezioni durante quest’anno, dalle regionali in Emilia a gennaio fino alle comunali nelle ultime settimane, dimostra che l’appello al risentimento popolare non paga più: non solo la pandemia (a gennaio nel confronto Salvini-Bonaccini non c’era), ma più in generale la preoccupazione per un futuro che non si riesce a decifrare (fenomeno che la pandemia ha acuito) frammentano i sentimenti nel paese e soprattutto restringono l’area di elettori disponibili alle avventure dei vari populismi.

uesto significa davvero che cresce la domanda di un ritorno al centro? Ci permettiamo di dire che questa è una specie di eterna illusione che percorre la storia politica italiana quando si esplica nell’invocazione di un grande partito di centro costruito a tavolino dagli ingegneri politici. La moderazione, se vogliamo chiamarla così, non è un luogo fisico specifico da collocare sui banchi parlamentari, è un’attitudine al realismo che può trovare cittadinanza tanto a destra quanto a sinistra dello schieramento politico e determinare gli equilibri interni di quei partiti che possono contare su un effettivo radicamento sociale.

DIFFICILE CAMBIARE

La Lega, ma anche FdI quel radicamento ce l’hanno, solo che al loro interno le componenti moderate non hanno l’egemonia, perché si è imposta la visione che sia il radicalismo estremista a fare da motore di sviluppo.

Salvini ha costruito le sue fortune su quella convinzione e per lui è complicato cambiare registro. I rappresentanti della linea moderata all’interno della Lega pagano oggi il prezzo di aver lasciato briglia sciolta ad una strategia che pareva portare il partito ad una luminosa vittoria. L’hanno fatto perché pensavano che bene o male poi quella vittoria l’avrebbero gestita loro, lasciando ai pasdaran l’euforia del protagonismo nei talk show. Qualcosa di molto tipico nelle vicende della politica europea, che però dovrebbe insegnare che raramente poi si riesce nell’impresa di normalizzare i pasdaran.

TOTI-CARFAGNA

Per questo ora fioriscono i tentativi di condizionare dall’esterno il processo di ridimensionamento che il centrodestra deve affrontare dopo l’insuccesso della strategia della spallata, avendo davanti probabilmente un periodo di stasi politica appena increspato dalle elezioni amministrative della prossima primavera, in attesa del confronto sulla partita della successione a Mattarella. L’avventura che sembra intraprenda il duo Toti-Carfagna è difficile da valutare.

La Carfagna ha provato il ticket con Calenda per un partito liberal-riformista di centro (qualunque cosa voglia dire questa indecifrabile etichetta) ed è andata male, si dice per l’eccesso di narcisismo che hanno entrambi. Se andrà meglio col governatore della Liguria è presto per dirlo, ma soprattutto non si vede su quali truppe possano contare, perché Forza Italia sarà anche allo sbando, ma i suoi membri sanno che abbandonare Berlusconi per una impresa con scarse gambe su cui reggersi rappresenta un rischio mortale.

MATTEO SOTTO TUTELA

E’ più probabile che la Lega possa usare questo periodo di relativa bonaccia per riorganizzarsi, mettendo sotto tutela Salvini senza però disarcionarlo (sarebbe una mossa controproducente), ma soprattutto sbarazzandosi della corte di pasdaran che si erano fatti il nido nei successi della demagogia e che adesso non sono capaci di riconvertirsi ai tempi nuovi. Lo zoccolo duro del potere leghista esiste e se usato bene può dare molti più frutti delle comparsate a gogo del Salvini-clown nelle trasmissioni televisive: ormai si sono resi conto che quelle servono a fare audience per i conduttori che possono esibire il fenomeno che le spara, ma non a portare voti e ad allargare la base di consenso.

Certo rimane l’incognita di capire come si muoverà la Meloni se davvero la Lega cambia registro.

Il suo partito cresce costantemente, ma è ben lontano da percentuali che lo rendano dominante e per incrementare il suo bottino avrebbe bisogno di un restyling che non solo recidesse le abitudini all’utilizzo delle retoriche dell’estrema destra, ma che portasse ad un contenuto propositivo che vada oltre il vago sovranismo patriottardo che tutto è tranne che un progetto sul futuro del nostro paese.


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