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Giuseppe Conte

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Adesso c’è l’atteso DPCM con la sua inevitabile coda di polemiche alcune strumentali e poco fondate (“ci hanno rubato il Natale” – Salvini), altre con qualche fondamento ma poco comprensibili per l’opinione pubblica. La più seria riguarda il rilievo fatto a Conte di avere “pubblicato” il suo decreto con una conferenza stampa a reti e internet unificati piuttosto che con una relazione in parlamento. Da un punto di vista tecnico-costituzionale il rilievo ha un suo fondamento, dal punto di vista della sensibilità del pubblico non suscita nessuna passione: ormai che il parlamento sia ancora l’arena in cui si rendono pubblici gli atti di governo consegnandoli alla rappresentanza è solo una notazione che si trova sui manuali di storia costituzionale. In un sistema in cui (quasi) tutto è pubblico attraverso i media, non solo il lavoro del governo, ma anche quello delle forze politiche, delle regioni e via elencando, la funzione di trasparenza politica della sede parlamentare si è, ad essere generosi, molto appannata.

LA BUONA CREANZA

Ancor più se stiamo parlando di atti come i DPCM che non sono sottoposti ad alcun vaglio, non solo parlamentare, ma neppure del Quirinale, per cui la gente non vede cosa sarebbe cambiato se Conte ne avesse parlato a Montecitorio e a Palazzo Madama anziché alla TV. Si dice: ma era un atto di buona creanza istituzionale. Vero, ma purtroppo non è che la buona creanza sia oggi molto popolare. Se si vorrà fare un confronto politico, non sarà sulle misure per gestire le festività natalizie che conviene appuntarsi, ed infatti i partiti pensano ad altro. Nell’immediato c’è il passaggio del 9 dicembre, dove invece sull’intervento di Conte si vota e dunque si avrà inevitabilmente, dato il rilievo della materia (in sostanza la nostra politica europea) e la posizione dello stesso premier, un voto di fiducia. Fioccano di conseguenza le interpretazioni su cosa potrebbe accadere se il presidente del Consiglio vedesse la sua maggioranza soccombente. Come abbiamo scritto ieri, su questo più di una sede fa del terrorismo istituzionale: se la proposta di Conte e della sua maggioranza venisse sconfitta sarebbe costretto alle dimissioni e Mattarella non avrebbe alternative a sciogliere la legislatura. Noi dubitiamo dell’inevitabilità di quest’esito, come peraltro dubitiamo ancor più che quest’esito sia probabile e proviamo a spiegare il perché.

IL ROSATELLUM

La dissoluzione della legislatura non giova in questo momento a nessuno, dentro e fuori il parlamento. Andare ad elezioni anticipate significherebbe non solo finire certamente in esercizio provvisorio sul bilancio almeno per qualche mese (e addio risorse per fronteggiare l’emergenza), cosa che certamente non sarebbe presa bene dalla società civile, per non parlare del mondo economico. Comporterebbe anche la messa a rischio del nostro accesso ai fondi del Next Generation UE in condizioni favorevoli, perché sarebbe difficile evitare lo stigma di nazione poco affidabile. Ancor di più comporterebbe avviare una prova rischiosissima di confronto col corpo elettorale. Non dimentichiamoci che al momento la legge elettorale rimane il cosiddetto Rosatellum con tutte le sue asperità: per esempio rimarrebbe una bassa soglia di sbarramento che incentiverebbe la presentazione di liste, così come la regionalizzazione dei collegi senatoriali, cosa che rende difficile le strategie elettorali. Ma soprattutto dovrebbe misurarsi, visto il taglio del numero dei parlamentari, con la gestione di collegi enormi (più di un milione di elettori ciascuno. Già individuati) perché così impone il taglio del numero dei parlamentari. Gli strateghi elettorali dei partiti e anche gli altri sanno bene che si andrebbe ad un salto nel buio perché da un quadro simile può saltar fuori di tutto. E quel parlamento sarebbe poi quello che eleggerà il successore di Mattarella. Sostenere che ciò basterà per costringere i parlamentari a ragionare su questo quadro per portarli a lasciar perdere col giochetto di provare a far le scarpe a Conte sarebbe eccessivo. Dovremmo supporre che nella attuale classe politica non ci sia una piccola minoranza che pur di provare a rovesciare il tavolo è disposta a molto se non proprio a tutto (e coi numeri che ci sono soprattutto al Senato basta poco per sbagliare i calcoli: mitico fu il caso del Prodi 1 quando i calcoli sulla fiducia furono sbagliati per un solo voto).

GLI AVVENTURIERI

Se si dovesse scommettere, sarebbe prudente farlo puntando sull’ipotesi che il governo, magari con qualche trovata retorica, otterrà la fiducia, visto che la voglia di correre l’alea di elezioni nel nuovo contesto non è che sia molto diffusa. Tuttavia continuiamo a pensare che se malauguratamente venisse meno il controllo sulla piccola minoranza di avventurieri che possono fare la differenza (l’opposizione, Berlusconi incluso, può salvarsi l’anima votando contro senza pagare il pegno di aver provocato una crisi), ci sarà un estremo tentativo di varare un governo-toppa che possa salvare il bilancio 2021 e la nostra presenza nella spartizione dei fondi europei per la ripresa del sistema. Come estremo rimedio ad un male indubbiamente estremo potrebbe avere buone chance di riuscita, anche se difficilmente potrà essere un governo di alto profilo politico. C’è da aspettarsi ancora qualche giorno di fuochi d’artificio, ma poi capiremo verso dove si punta ad andare.


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