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Per adesso il garbuglio non è ancora dipanato. Draghi è di quelli che sanno che queste operazioni richiedono molta pazienza nel procedere, altrimenti non dipani ma complichi. Tuttavia il premier incaricato non è l’unico attore in scena: senz’altro è il principale, ma anche le “spalle” hanno il loro peso.

Partiamo da un dato curioso. Crimi in un discorso tanto logorroico quanto inconcludente ha voluto sottolineare che chiede a Draghi di partire da quel che è stato fatto nella fase precedente. Giustissimo, ma non coglie che il problema è proprio lì: si deve muovere dai disastri che le tribù politiche hanno combinato nelle ultime due legislature.

La difficoltà più grande con cui deve misurarsi il presidente incaricato è la quantità di veleni e di demagogia seminata in quegli anni nel campo della politica italiana: difficile arrivare ad una solidarietà nazionale dopo che si è costruita tutta una mitologia di incomunicabilità di angeli e demoni, guelfi e ghibellini, Montecchi e Capuleti, o come volete metterla. Certo va riconosciuto che questo allontanamento dalla competizione politica fondata sull’alternanza fra forze che si riconoscevano reciprocamente legittime, cioè dal fondamento ideale del costituzionalismo occidentale, coinvolge ormai tutti i paesi, anche quelli che sembravano modelli in quel senso, si veda quando accaduto negli USA e in Gran Bretagna.

In Italia non è una novità. Basterebbe ripercorrere le vicende della famosa “apertura a sinistra” per l’inclusione del PSI nell’area governativa fra anni 50 e 60, o quelle per la solidarietà nazionale. Anche lì fu tutta una rincorsa da parte degli uni a chiedere abiure del passato agli altri e viceversa. Adesso, dopo i disastri post-Tangentopoli e la lunga stagione dello scontro dominato dall’anti berlusconismo, è difficile liberarsi da quel retroterra: soprattutto da parte dei Cinque Stelle che hanno costruito la loro fortuna esasperando il conflitto ponendosi come i puri che erano in grado di mandare al diavolo entrambi i vecchi contendenti.

Draghi si trova a misurarsi con questo campo di macerie. Il suo problema non sarà “fare sintesi”, perché in realtà sui problemi concreti i margini d’incontro sono ampi solo che si stia sul concreto e non sulle sparate demagogiche. Prendete, tanto per dire, il tema ambientale. Ovvio che nessuno che non sia pazzo può pronunciarsi a favore di un incremento dell’inquinamento o anche solo negare che ci sia un problema al riguardo.

Poi certamente ci si può dividere all’infinito su cosa ci vorrebbe per risolvere il problema, ma se si concorda che intanto è meglio fare un po’ di passi avanti e poi si vedrà come proseguire, un accordo si trova e tutti possono dire di aver ottenuto soddisfazione: gli estremisti perché diranno che non è che l’inizio poi si passerà a quel che dicono loro; i moderati perché saranno contenti che si facciano interventi realistici evitando di fare guai per compiacere gli estremisti.

Il problema di Draghi è come superare la quantità di steccati, mine, cavalli di Frisia, che tutte le tribù politiche hanno costruito in questi anni non tanto per conquistarsi spazi, ma per gestire i territori di reclutamento dei loro pasdaran. Lo si è visto chiaramente ieri. E’ bastato che il leader della Lega Matteo Salvini uscisse dal ruolo che gli era assegnato e che si era autoassegnato nella grande commedia dell’arte (politica) per mandare quasi tutti nel panico.

I primi ad andarci sono stati i Cinque Stelle, che hanno intuito come un cambiamento della distribuzione dei ruoli li avrebbe messi in grosse difficoltà. Per capire bisogna sempre ricordare che la questione fondamentale è il prossimo sistema elettorale. Se si supera il meccanismo maggioritario, quello che in Italia permette di continuare con lo stucchevole schema del angeli vs. demoni, M5S, già ridimensionato nei consensi, si troverà in gravi difficoltà.

Ancor più se la Lega perde quei caratteri di estremismo demagogico su cui aveva puntato Salvini. In un proporzionale tutto tornerebbe aperto e, grazie all’esperienza eventuale del governo Draghi, si potrebbe anche prospettare l’ipotesi che i tre partitelli di Renzi, Bonino e Calenda si saldassero insieme, il che farebbe venire meno l’ostacolo ad avere una soglia di sbarramento al 5%.

Questo spaventa anche una parte del PD, che infatti ha provato subito ad avvelenare i pozzi facendo filtrare uno smarcamento dal sostegno a Draghi, che invece non sembra ci sia. Ovviamente ai teorici dell’alleanza a tutti i costi coi Cinque Stelle non va bene un quadro proporzionale che torna a dare spazio a quelli che la politica la fanno con le idee riformatrici e non con le fumisterie degli scenari futuribili.

Adesso tutto si scarica, come peraltro era prevedibile, sulla formazione della squadra di governo. È qui che le forze politiche, dopo avere posto a cuor leggero la questione di un governo politico (rectius: di partiti) che sarebbe stato meglio evitare, proveranno a scassare tutto col giochetto dei veti e contro veti. Il fatto è che i partiti e i vari leader di ciascuno devono rispondere ai loro pasdaran, che scambiano per i rappresentanti del loro elettorato, il che viene piuttosto contraddetto dai sondaggi che rilevano ampio gradimento per Draghi e una quota non molto ampia di decisi oppositori.

C’è da pensare che al dunque tutti saranno costretti ad accettare la soluzione che il premier incaricato troverà, perché l’alternativa è il baratro, ma una maggioranza larga venata però di volontà di boicottaggio non è sicuramente un buon viatico per un governo che deve fare cose molto serie e molto impegnative.


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