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Mario Draghi

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La solidarietà dei partiti a Draghi è di quelle pelose: ciascuno lo sostiene per ciò che gli fa comodo. Salvini perché ha riaperto, PD e M5S perché difende Speranza. Lo sforzo del premier per presentare l’immagine di un governo con un clima di intesa “eccellente” viene subito ridimensionato col far filtrare sui retroscena che in realtà ci sono state spaccature e che la tregua fra le parti è una tregua armata.

Sembra incredibile che non ci si renda conto che così si creano le condizioni peggiori perché il Paese possa davvero scavallare il picco della crisi pandemica. Draghi invita gli italiani a gestire con molta responsabilità il cammino della riapertura ad una vita normale, ma non c’è solidarietà nell’accompagnare l’opinione pubblica ad adeguarsi a questo “rischio ragionato”. Su un versante si torna a chiedere ulteriori accelerazioni nelle riaperture, sul versante opposto si fa intendere che stiamo avviandoci su una brutta china.

Eppure ci sarebbero due strategie che i partiti potrebbero responsabilmente condividere. La prima è una seria riflessione sui mesi sprecati. Non tanto perché si è chiuso, ma perché non ci si è preparati a riaprire. Leggere ora che non ci sono abbastanza aule scolastiche per ospitare i ragazzi nel rispetto delle distanze, che sui mezzi pubblici siamo più o meno nella situazione di prima, che la sanità è rimasta quella che era, magari eroica, ma senza avere ampliato la propria capacità di assistere i malati di Covid in modo che questo non andasse a scapito dell’assistenza di altri malati. Su tutto questo si stende un velo pietoso, perché non ci sono colpe attribuibili solo ad una parte politica, ma è il sistema in generale che ha mostrato delle crepe e queste si sono accumulate in anni di connivenza di tutti i partiti in tutt’altre faccende affaccendati.

Per essere credibili qualche volta bisogna anche ammettere di aver fatto degli sbagli. È una virtù più che rara in politica, ma almeno in fasi di emergenza la si potrebbe riscoprire. Comunque è inutile piangere sul latte versato. Concentriamoci piuttosto su alcune cose che si possono e si debbono fare. La conferenza stampa di Draghi non ha riguardato solo la questione delle riaperture, ma quella altrettanto se non più importante del fare “debito buono”, cioè del coraggio nell’investire risorse per far ripartire la nostra economia e risanare, perché è un aspetto connesso, la nostra vita sociale. Non è un impegno che si possa far gestire solo al governo, perché c’è necessità di un contesto politico e sociale che sostenga un lavoro che sarà di lungo respiro e che, fra il resto, non coinvolge solo i fondi del Next Generation UE (come Draghi ha chiarito l’altro ieri in conferenza stampa).

I partiti però sembrano lontani dall’intenzione di assumersi il compito che sarebbe loro proprio di costruire un ponte fra l’azione di governo e l’opinione pubblica. Anzi ormai ciascuno punta solo sulla ricostruzione del proprio campo trincerato. Magari nel caso della Lega c’è il problema che dentro quel campo c’è anche la Meloni che più che un alleato potrebbe diventare una congiurata per disarcionare il Capitano, ma proprio per questo si accentua l’approccio identitario-demagogico. Bisogna dire che Salvini è fortunato su questo terreno, perché prima gli viene bene rivendicare come proprio merito le riaperture e poi la magistratura di Palermo gli offre disinvoltamente la corona del martire che paga per avere difeso i confini della patria. Qualcuno dovrebbe spiegare ai giudici che non c’è politica senza discrezionalità dell’azione governativa, che va senz’altro giudicata (e da parte nostra anche stigmatizzata) ma non nelle aule dei tribunali, bensì in quelle del confronto di opinione pubblica.

La sinistra però, anzi il PD perché il resto è poco significativo, si lascia intrappolare in questa diatriba colla destra, come fece ai tempi di Berlusconi, dimenticando che a ridimensionare quello ci ha pensato la storia senza che la sinistra ne abbia guadagnato una rinascita quanto a centralità. È curioso che sia un leader come Letta, che ha una seria formazione di studioso, a non riuscire ad innalzare il dibattito politico, riducendosi a rincorrere cause anche nobili, ma in questo momento non centrali. Possibile che non senta il desiderio di discutere sui nodi che hanno bloccato e che bloccano lo sviluppo italiano, sui progetti che sarebbero necessari per avviare una ripresa (intendiamo progetti specifici, non parole d’ordine alla moda), sulle debolezze di una rete sociale che si andava già sfrangiando e che oggi a causa della pandemia è a rischio di disintegrarsi?

Si capisce che l’ossessione di tutti i partiti è in questo momento quel che avverrà nelle prove elettorali d’autunno. Magari non lo ammettono, ma si capisce benissimo che è così. Draghi apparentemente è fuori e al di sopra di queste miserie (che peraltro tanto miserie non sono se si pensa al ruolo che avranno i comuni nella applicazione del PNRR). In realtà è difficile che possa combattere con un buon esito la battaglia della ripresa se non riesce a stabilizzare almeno un minimo la situazione dei partiti. Chi osserva le cose da dietro le quinte avverte che al momento i partiti, non solo i grandi, sono abbastanza concentrati a capire come potranno inserirsi nel meccanismo di gestione dei fondi europei per cui Draghi, che sa benissimo quanto sia elicato questo aspetto, si muove con la cautela di chi non vuole aprire pertugi in cui quelli potrebbero infilarsi. Una ulteriore preoccupazione per il nostro futuro.


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