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Il Quirinale

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SI sta esagerando nel ridurre il problema della successione a Mattarella ad una questione di competizione fra i partiti. La vicenda dell’affossamento del DDL Zan, ampiamente prevedibile e prevista, ha innescato un’esplosione di più o meno sacri furori nelle varie componenti parlamentari che sono subito corse a proiettarli sulle prossime elezioni quirinalizie.

Nell’ottica dei dibattiti a cui assistiamo sembra che tutto si riduca a decidere se sia possibile utilizzare questo passaggio per stabilire quale sia la “coalizione” (termine sicuramente eccessivo) che può ambire a guidare il paese anticipando le prossime elezioni o se convenga trovare una soluzione di tregua momentanea puntando su una figura abbastanza “neutra” in modo che possa poi adattarsi al risultato che emergerà al più tardi dalle urne del 2023.

Tutto è nascosto sotto un involuto dibattito sulla scelta fra tenere Draghi alla guida del governo perché avvii in maniera più compiuta il PNRR o l’inviarlo sul Colle perché metta la sua statura internazionale a servizio della credibilità dell’Italia. C’è una buona dose di ipocrisia in questo modo di porre il problema. Innanzitutto perché per consentire davvero che l’attuale premier riesca nell’operazione di dare un solido avvio al PNRR sarebbe necessario che i partiti fossero disposti a lasciarlo lavorare mettendo fine alla corsa al posizionamento conflittuale in vista delle future elezioni.

Un anno e mezzo in cui proseguano le attuali diatribe renderebbe la vita del governo assai difficile e la possibilità che il futuro inquilino del Quirinale, chiunque sarà, sia costretto a mettervi fine chiamando le elezioni anticipate sarà molto concreta. Quanto all’ipotesi di eleggere Draghi alla guida della repubblica, essa ha un senso solo se si è disposti a farlo mantenendolo nel ruolo di garante della continuazione del periodo di tregua politica necessaria per far uscire il paese da anni di fibrillazioni e di difficoltà. Che ci sia questa sincera volontà da parte delle forze politiche non ci sembra affatto garantito.

Ragionando così, rimaniamo però sempre prigionieri del gioco della politica politicante e non teniamo conto di quello che è, a nostro modesto giudizio, l’elemento qualificante della prova che si ha davanti: dare al paese un rappresentante dell’unità nazionale e un propulsore della sua vita come comunità politica. I cinici scambieranno questo più o meno come retorica buonista, ma non è così.

In un momento di passaggio difficile come quello attuale è importante disporre al Quirinale di una figura in grado di assolvere a quel compito: è essenziale per la complicata ricerca di una nuova stabilizzazione necessaria sia per l’evoluzione nella distribuzione del consenso politico, sia, banalmente, per quelle che saranno le conseguenze della drastica riduzione della rappresentanza parlamentare (e non sappiamo ancora con che sistema elettorale verrà governata).

La disaffezione per le urne è un fenomeno che non va preso sottogamba. In ogni caso poi bisogna contare che il presidente della repubblica è un membro attivo del nostro sistema politico, niente affatto quel banale “notaio” che registra semplicemente i fenomeni, come vorrebbe rappresentarlo una leggenda diffusa.

Non è solo questione del potere del presidente di conferire l’incarico di governo (ma qui deve tenere conto degli equilibri parlamentari, se ci sono) e anche di dire la sua sulle designazioni dei ministri (sia pure con una certa delicatezza). Come sanno tutti quelli che hanno studiato un po’ di storia, per le stanze del Quirinale passano in continuazione non solo i quadri della vita politica, ma anche quelli della vita sociale e culturale, per cui il Presidente è sempre presente nell’evoluzione della nostra vita pubblica ed è un collettore e un agevolatore dei suoi passaggi.

Poi ci sono i poteri formali del Quirinale: promulgazione delle leggi, possibilità di inviare messaggi alle Camere, ma soprattutto numerosi impegni di intervento pubblico. Momenti come il messaggio di fine anno, quelli alle Alte Cariche, i discorsi che il presidente tiene nelle molte occasioni in cui è coinvolto, gli incontri istituzionali con autorità internazionali e nazionali, sono tutti momenti in cui il Capo dello Stato contribuisce in maniera importante (in alcuni casi determinante) alla costruzione del sentimento nazionale e della fiducia dei cittadini nella vita pubblica.

In tempi difficili come quelli che stiamo vivendo e, visto come sta andando il mondo, come quelli che probabilmente ci attendono i partiti dovrebbero porre la massima attenzione non solo a dare al paese la migliore “guida” possibile, ma anche a farlo in modo tale che la sua legittimazione sia sin dall’inizio molto forte.

È vero che a volte è successo che alcune debolezze nella nomina dell’inquilino del Colle siano poi state superate dalle capacità della persona scelta, favorita magari dalle circostanze, ma non è saggio che i partiti facciano i loro comodi contando sul mitico “stellone” italiano che concorrerebbe ad aggiustare tutto. Non è detto che accada. Soluzioni pastrocchiate che si inventano per non assolvere al dovere di mostrare al popolo che la situazione è stata presa sul serio non crediamo darebbero buoni risultati.

La trovata che alcuni fanno intravvedere di individuare una personalità “di transizione” che stia lì per qualche anno, giusto per dare tempo ai partiti di cercare una stabilizzazione nella distribuzione fra loro del consenso elettorale, ci pare poco seria, anche se si scegliesse una personalità di ottimo profilo.

Sarebbe un presidente dimezzato, sopportato dai vari potentati nell’attesa che lasci la carica e dunque poco adatto a dare un “indirizzo” alla nostra ripresa necessaria, ma anche semplicemente a fare da autorevole arbitro nei conflitti politici che purtroppo dureranno ancora. Per non parlare della sua capacità di tenere insieme il nostro travagliato paese.


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