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Mario Draghi in Parlamento

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La risoluzione che impegna l’esecutivo a sostenere l’Ucraina, anche con le armi, “approvata a larghissima maggioranza”, non è solo la bussola dell’azione di governo, ma “rafforza la nostra posizione a livello internazionale”.

L’informativa di Mario Draghi sulla guerra, illustrata ieri alle camere, finisce in gloria. Il presidente del consiglio rivendica le scelte fatte finora e assicura: ”il governo intende continuare a muoversi nel solco di questa risoluzione”. Nessuna concessione ai cavillosi tentennamenti e alle contorsioni politicistiche di Lega e M5s.

Draghi snocciola i numeri del disastro umanitario. Circa 9 mila corpi in quattro fosse comuni nei dintorni della città di Mariupol. Fosse comuni a Kiev, Bucha e Borodyanka. Tra sfollati interni (circa 8 milioni) e profughi (circa 6) sono quasi 14 milioni i residenti che hanno dovuto lasciare le proprie case. A fronte di questa tragedia, gli aiuti dell’Italia all’Ucraina. Gli 800 milioni di euro in assistenza per i profughi, 300 dei quali fanno parte dell’ultimo Decreto Aiuti. I 110 milioni di euro di sovvenzioni al governo ucraino per la gestione dell’emergenza. Ai quali si aggiungono 200 milioni in prestiti. I 26 milioni di euro a vantaggio delle organizzazioni internazionali attive in Ucraina e nei Paesi limitrofi per dare assistenza ai civili.  Circa 20 tonnellate di materiali umanitari della cooperazione italiana. 

Ma la polemica che aleggia sull’informativa riguarda soprattutto le forniture di armi. Da alcune settimane monta nei sondaggi il partito del disimpegno che sostiene: basta dare armi all’Ucraina, in questo modo la guerra continuerà. E se continuiamo ad armare la resistenza, l’Italia diventa di fatto un paese belligerante.

Sul punto, Draghi è netto. In primo luogo, rivendica il suo personale ruolo nella spinta per la pace. Cessate il fuoco e ripresa dei negoziati sono gli obiettivi dell’esecutivo condivisi con il Presidente Biden e i leader politici del Congresso durante la recente visita a Washington. “In questi incontri ho riscontrato un apprezzamento universale per la solidità della posizione italiana, fermamente ancorata nel campo transatlantico e dell’Unione Europea”: il premier gonfia il petto. Proprio l’ancoraggio atlantico e la collaborazione italiana permettono oggi all’Italia “di essere in prima linea, con credibilità e senza ambiguità, nella ricerca della pace”.

Il risultato di questo impegno è il colloquio del 13 maggio scorso tra il Capo del Pentagono Austin e il ministro della Difesa russo Shoigu: “un segnale incoraggiante, la prima telefonata dall’inizio della guerra”, rivendica Draghi come risultato del suo pressing. In secondo luogo, il primo ministro italiano deve rispiegare l’ovvio: “Se oggi possiamo parlare di un tentativo di dialogo è grazie al fatto che l’Ucraina è riuscita a difendersi in questi mesi di guerra”. Ecco perché l’Italia continuerà il suo sostegno a Kiev, coordinandosi con i partner europei e atlantici.

Come rispondono i due partiti che da settimane rappresentano le spine nel fianco del premier? Il M5s cerca di prendersi il merito politico della presunta svolta pacifista di Draghi. Non mancano critiche e distinguo. Il capogruppo alla Camera Davide Crippa dice che “lo strumento dell’invio delle armi, stando ai risultati ottenuti dopo 85 giorni di guerra non è efficace per costruire la pace”. E poi avverte: “Questo è il motivo per cui chiediamo che presto quest’Aula possa esprimersi nuovamente con un voto”.

Nel frattempo, Luigi Di Maio, ministro degli esteri grillino, consegna una proposta di base di negoziato all’Onu, a dimostrazione dell’impegno del governo. Fuori dall’aula, Giuseppe Conte rilancia sulla necessità di rimettere in discussione i contenuti della risoluzione ancora vigente. La sensazione è che tutto si riduca a manfrina dialettica, senza effettive conseguenze sulle aspettative di vita del governo. E tuttavia il teatrino degli agguati continuerà ad accompagnarci nei prossimi mesi. Da registrare, poi, il neoirenismo di rito cattolico romano di Matteo Salvini: “Presidente Draghi, chieda un cessate il fuoco di 48 ore con Italia, Francia, Germania e Santa Sede pronti ad essere garanti dell’avvio di negoziati che oggi non ci sono. Sono convinto che verrà ascoltato con attenzione. Che l’Italia sia promotrice di pace e dialogo”. Insomma, un’avventura ai confini della fantapolitica.

Più seriamente, il programma di Draghi prevede una serie di azioni ispirate dal pragmatismo euroatlantico. Primo: il contributo dell’Italia (con 2.500 soldati e altri interventi) alle operazioni della Nato sul fianco orientale dell’Europa. Secondo: appoggio incondizionato alla richiesta di Svezia e Finlandia di adesione alla Nato, a dispetto di tutte le chiacchiere infondate sulle ‘provocazioni’ alla Russia. Terzo: necessità di organizzare una vera e propria difesa comune europea, che sia però complementare all’Alleanza Atlantica, partendo dalla razionalizzazione della spesa militare in Europa.

Sulla scia della proposta di Sergio Mattarella, Draghi rilancia poi l’idea di una conferenza internazionale sul modello degli accordi di Helsinki del 1975. Ma questa potrà avvenire solo dopo il cessate il fuoco e i negoziati. E, comunque, non si potrà fare a meno di ripartire dai principi di Helsinki: “il rispetto del diritto all’autodeterminazione dei popoli, il non ricorso alla minaccia o all’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di qualunque Stato”. Una sottolineatura cruciale perché dice qualcosa sul ‘come’ dovrebbe concludersi questa guerra. I sostenitori del compromesso a tutti i costi accetterebbero ampie concessioni territoriali alla Russia.

Per Draghi, invece, “dovrà essere l’Ucraina, e nessun altro, a decidere che pace accettare. Anche perché una pace che non fosse accettabile da parte dell’Ucraina non sarebbe neanche sostenibile”. Proprio ieri il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba detta lo schema di un futuro accordo mettendo dei paletti molto precisi: la liberazione di tutti i territori occupati (Crimea e Donbass inclusi), il pagamento delle riparazioni di guerra da parte dell’aggressore, il processo ai criminali di guerra russi, l’integrazione dell’Ucraina nella Ue.

Infine, il conflitto evidenzia la “fragilità delle politiche energetiche” italiane ed europee. Draghi ripete la sua ricetta: ridurre la quota di gas naturale importata dalla Russia, incrementare le forniture di gas naturale come combustibile di transizione, investire per aumentare la produzione di energie rinnovabili, eliminare i vincoli burocratici che limitano l’espansione delle rinnovabili in Italia, misure molto sostanziose per tutelare le imprese e le famiglie dai rincari energetici (30 miliardi di euro nel 2022 per mitigare gli aumenti dei prezzi dei carburanti e ridurre le bollette).

Ultimo punto: il governo italiano svilupperà una iniziativa condivisa con gli alleati per sbloccare immediatamente i milioni di tonnellate di grano bloccati nei porti del sud dell’Ucraina. Obiettivo: evitare che la guerra si traduca nella tragedia alimentare dei paesi più poveri.


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