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Mattarella nel seggio elettorale di Palermo

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Nella legislatura che si apre con le elezioni, il Parlamento avrà in agenda, quale che sia la maggioranza governativa, due temi istituzionali di grande rilevanza. È da ritenere che su di essi si aprirà un dibattito e un confronto tra le forze politiche, mentre non sono ancora chiari i contenuti puntuali delle diverse proposte né prevedibili gli esiti della loro trattazione. Può quindi essere utile precisare la cornice costituzionale nella quale possono essere collocati e con essa l’ambito e i limiti delle possibili riforme.

Un tema è legato all’autonomia delle Regioni a statuto ordinario che hanno chiesto l’attribuzione di nuove competenze, come la costituzione consente in base all’articolo 116 dopo la riforma, disposta con legge costituzionale del 2001, del Titolo V e del regionalismo. Questo percorso, già avviato con i precedenti Governi e coltivato anche da quello presieduto da Mario Draghi , è stato promosso dalle Regioni del nord ed ha visto la sottoscrizione, nel 2018, di accordi preliminari tra il Governo e le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia–Romagna. Sul rafforzamento delle autonomie territoriali, alla convergenza di principio delle diverse forze politiche si accompagna la divergenza su contenuti, modalità e tempi di applicazione, per la preoccupazione di aumentare lo squilibrio nella disponibilità di risorse e consolidare il divario tra le Regioni sviluppate del nord e quelle svantaggiate del sud del Paese.

L’altro tema riguarda la stabilità ed il rafforzamento del Governo, sino alla previsione di una riforma, sintetizzata con la formula del presidenzialismo, che preveda una investitura popolare diretta del vertice dell’esecutivo. Per attuare questo progetto, orientato a rendere più efficienti le istituzioni politiche ed i cui contorni sono da precisare, è necessaria una riforma che investe l’intero modello costituzionale della forma di governo e molti aspetti della seconda parte della costituzione. Le due questioni, dell’ampliamento delle autonomie regionali e del rafforzamento dei poteri del governo sino al presidenzialismo, sono distinte, apparentemente separate e distanti tra di loro, eppure in qualche modo sono collegate non solamente sul piano politico, ma anche su quello funzionale, nella logica della unità dell’ordinamento nella pluralità dei livelli di rappresentanza politica e di governo.

L’autonomia differenziata non si sottrae a questa esigenza che ha un fondamento costituzionale. Il rafforzamento delle autonomie regionali risponde al principio espresso dall’articolo 5 della costituzione, in coerenza con un quadro unitario: “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie territoriali”.

La unità e indivisibilità, che la Corte costituzionale ha annoverato tra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale, non riguarda solamente la integrità territoriale e il divieto di ogni forma di secessione, ma comprende la unita della comunità nazionale e del suo ordinamento, la solidarietà tra le diverse aree del Paese, la eguaglianza dei cittadini, quale che sia la Regione di residenza, nel godimento dei diritti e delle prestazioni sociali.

Questi criteri hanno trovato espressione nel contesto della riforma del regionalismo, accanto alla previsione della autonomia differenziata, la quale presuppone un riequilibrio nelle condizioni di sviluppo delle diverse Regioni e l’eguaglianza nel godimento dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti sociali. Ne segue, sul piano finanziario, la istituzione, prevista dall’art. 119 della costituzione, di un fondo perequativo senza vincoli di destinazione per i territori con minore capacità di spesa, i quali traggono minori risorse dalla istituzione di tributi propri o dalla compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio. Inoltre risorse aggiuntive devono essere destinate dallo Stato per interventi destinati a promuovere lo sviluppo economico, la coesione sociale, rimuovere gli squilibri economici e favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona.

Risulta evidente come il capitolo dell’autonomia differenziata e la sua attuazione non possono essere isolati da una visione complessiva, che non riguarda solamente le Regioni che la reclamano, ma investe l’intero Paese e richiede una equilibrata ripartizione delle risorse e della erogazione dei servizi e delle prestazioni sociali.

Più complessa la riforma relativa al Governo ed al Presidenzialismo. Dal punto di vista formale richiede una legge di revisione costituzionale, con le procedure aggravate che questa comporta: una doppia lettura da parte della Camera e del Senato, la possibilità che la legge sia sottoposta a referendum popolare confermativo, se nella seconda votazione di ciascuna Camera non ha ottenuto la maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

Dal punto di vista sostanziale l’ambito di intervento e le eventuali difficoltà dipendono dai contenuti che si propongono. Si può rimanere nell’ambito della forma di governo parlamentare, introducendo meccanismi che possono rafforzare la stabilità del Governo e i poteri del Presidente del Consiglio. Ad esempio: ammettere che il Parlamento voti la sfiducia solo se si configura una maggioranza alternativa; consolidare il potere del Presidente del Consiglio di direzione del Governo e rendere possibile la revoca di ministri.

L’incidenza sull’assetto delle istituzioni politiche è ben diverso se si prefigura una modifica della forma di governo, per configurarlo come presidenziale o semi presidenziale. Una riforma di questo tipo, che pure muterebbe profondamente le istituzioni, non è preclusa purché siano rispettati i principi supremi dell’ordinamento costituzionale, la democraticità dell’ordinamento, la garanzia dei diritti fondamentali. Tuttavia è oltremodo opportuno che riforme destinate a mutare profondamente l’assetto delle istituzioni siano elaborate e valutate con grande cautela e largamente condivise.

Con l’espressione presidenzialismo si prefigura una investitura popolare diretta della titolarità di poteri di governo, con diverse configurazioni possibili. Ne abbiamo un esempio nella elezione diretta dei Presidenti delle Regioni e dei Sindaci, titolari di un capitale politico dominante anche nei confronti dei rispettivi Consigli, questi pure elettivi ma privi di una effettiva ed incisiva azione di indirizzo. Al livello statale i modelli possono essere quello presidenziale, proprio della tradizione degli Stati Uniti, e quello semi presidenziale attuato in Francia. In entrambi i casi si tratterebbe di una modifica di sistema che richiede una revisione organica e complessiva dell’assetto di governo, delle competenze e dei rapporti tra gli organi di vertice delle istituzioni: Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica. Come pure nelle modalità di composizione o di nomina degli organi di garanzia, come la Corte costituzionale. Oltre alla investitura democratica, diretta o indiretta, dovrebbe essere assicurato il bilanciamento tra i poteri conferiti a ciascun organo, affinché nessuno possa divenire tiranno.

Una ricostruzione così complessa del sistema non assicura la efficienza delle istituzioni che si intende perseguire. Lo stesso modello ha effetti diversi in differenti contesti. Ne è esempio il presidenzialismo nord americano, che impronta con effetti diversi le costituzioni dell’America latina. Né un buon disegno delle istituzioni supplisce alle criticità sostanziali della rappresentanza politica. Ciò non toglie che vada perseguita la governabilità, la stabilità, la tempestività e l’efficacia dell’azione dell’esecutivo, per la quale, comunque, val la pena l’impegno a una immediata revisione delle norme che costituiscono l’intelaiatura del sistema al livello sub costituzionale. A cominciare dalla legge elettorale e dai regolamenti parlamentari.


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