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Giorgia Meloni e Matteo Salvini discutono durante la manifestazione di chiusura della campagna elettorale

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Governo, scegliere Salvini al Viminale significa andare allo scontro con Mattarella

MATTEO Salvini e Giorgia Meloni appartengono alla stessa generazione. Il segretario della Lega è nato a Milano nel 1973, la leader di Fd’I a Roma nel ’77. Due storie politiche parallele che si incrociano nel 2013 quando il leghista diviene il segretario di via Bellerio, e Meloni è a capo di un partitino erede della tradizione Msi-An. Non si detestano ma nemmeno si amano. «Il rapporto non è mai stato idilliaco» osserva chi conosce entrambi. C’è una rivalità che è accresciuta nel corso degli anni e ha raggiunto il suo culmine quando Fd’I ha sorpassato la Lega. Eppure c’è un elemento che li unisce ed è quello generazionale.

«Quando si incontrano, spesso e volentieri discutono animatamente, ma poi giungono sempre alla stessa decisione». Ed è quest’ultima la ragione per cui, da ambienti leghisti, viene escluso categoricamente l’ultima indiscrezione che avrebbe visto l’ex ministro dell’Interno minacciare l’appoggio esterno al futuro governo Meloni.

La smentita ufficiale è arrivata puntuale con il caffè della primissima mattinata: «Le frasi attribuite al leader della Lega nei retroscena odierni sono totalmente false: il centrodestra ha stravinto le elezioni e governerà bene e senza spaccature per i prossimi anni. La sinistra e i suoi giornali si rassegnino: ieri Salvini e Meloni hanno parlato serenamente di come affrontare i problemi del Paese». Non è un mistero che i decibel del faccia a faccia siano aumentati quando si è trattato di esaminare il dossier «formazione del governo». «Ma da qui a dire che Matteo abbia sventolato l’appoggio esterno ce ne passa. Non avrebbe senso tirare l’opzione nucleare al primo giorno di trattativa. Fra quindici giorni sarebbe cosa diversa…».

Non a caso i salviniani sospettano che dietro questa indiscrezione ci sia la mano di un pezzo di partito meloniano. Obiettivo:   indebolire Salvini e spalleggiare gli avversari interni del Capitano che stanno provando in tutti i modi di esautorare il Capitano.  Sia come sia, la leader di Fd’I vuole chiudere il dossier con rapidità per evitare di finire sotto processo per la scelta dei ministri. E anche perché c’è una legge di bilancio da approvare e da inviare a Bruxelles. «Personalità inattaccabili perché nel nostro caso l’esame del sangue verrà fatto due volte» è il refrain dei meloniani.

Addirittura c’è chi sostiene che sia in corso un’interlocuzione con il Quirinale sui quattro ministeri chiave: economia, esteri, difesa e interni. C’è l’idea di piazzare a via XX Settembre una personalità di rilievo, un tecnico, che sia il garante con le cancellerie europee e   monitori i conti pubblici. Il sogno è Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della Bce, ma quest’ultimo fino ad oggi avrebbe sempre declinato anche perché è il favorito per la successione di Ignazio Visco alla guida della Banca d’Italia. Domenico Siniscalco è l’altro profilo forte, è già stato ministro dell’Economia in un governo Berlusconi.

Ma c’è anche l’idea di spacchettare il ministero dell’Economia in Tesoro e Finanze. Affidando il dicastero della spesa all’uscente Daniele Franco, mentre il ministero delle tasse al tributarista d’area Maurizio Leo, neo eletto parlamentare di Fd’I. Per gli Esteri si pensa a un diplomatico o comunque a una figura come Antonio Tajani, per oltre venti anni a Bruxelles, già presidente dell’Europarlamento e uomo punto del Ppe. Si racconta di un contatto con Elisabetta Belloni, oggi a capo dei servizi segreti.

GOVERNO, SALVINI ALL’INTERNO E LA REZIONE DEL QUIRINALE

Il nodo dei nodi, va da sé, è il Viminale. Il dicastero degli Interni rappresenta il desiderio del Capitano. Del resto, è stato lo stesso Salvini a dire durante una diretta Facebook: «Tornare a fare il ministero dell’Interno? Lo vedremo. Spero però che nell’assegnazione degli incarichi venga riconosciuto il merito. E la Lega, sul fronte della sicurezza e della lotta all’immigrazione, ha dimostrato di saperci fare». Ma scegliere Salvini all’Interno significherebbe iniziare con il piede sbagliato e andare allo scontro con il Quirinale.

Ecco perché Meloni avrebbe in mente di proporre Matteo Piantedosi, oggi prefetto di Roma, e capo di gabinetto del ministero dell’Interno negli anni del mandato di Salvini durante il governo Conte 2. Un profilo, dunque, gradito al segretario della Lega. Che a quel punto potrebbe diventare vicepremier o ministro, ad esempio, dell’Agricoltura. Quanto al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, si esclude l’ipotesi di un politico e prende consistenza l’idea di un consigliere di Stato o di un magistrato sul modello di Roberto Garofoli.  Oggi vertice a tre fra Meloni, Berlusconi e Salvini. E si comincerà a fare sul serio.


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