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Elly Schlein, candidata alla segreteria del Pd

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DOMENICA scorsa è andata in onda una puntata avvincente della saga del Partito Democratico. A Roma Elly Schlein ha lanciato la sua candidatura alla segreteria. A Milano Matteo Renzi ha illustrato il suo progetto politico da qui al 2024. In realtà nessuno dei due avrebbe a che fare con il Pd. Schlein non è nemmeno iscritta. Renzi se ne andò nel 2019 per fondare un nuovo partito. Eppure le sorti dei due sono intrecciate e riguardano proprio il futuro del Pd e dell’intero centrosinistra.

La candidatura di Elly Schlein rappresenta obiettivamente una grande novità. Schlein è una donna, viene da una storia di sinistra radicale, è lesbica, ha condotto battaglie per la sostituzione della classe dirigente e per la tutela dell’ambiente, si oppone fieramente al governo di centrodestra, può vantare un nonno antifascista, una campagna elettorale in America a favore di Barack Obama e una vicepresidenza alla regione Emilia Romagna al fianco di Stefano Bonaccini, basa la sua azione su una formazione e prospettiva internazionale che la fanno assomigliare tanto alle coordinate della meglio gioventù globalista e di sinistra che va da Alexandria Ocasio Cortez, deputata democratica americana eletta a New York, a Ione Belarra, segretaria generale di Podemos e ministra dei diritti sociali del governo spagnolo.

Con lei, una parte cospicua del partito vuole lanciare un messaggio di novità, sparigliare le carte, rispolverare un’identità di sinistra più tosta, capace di rappresentare gli strati sociali più deboli e coerente con l’immaginario degli epigoni del comunismo italiano, archiviare definitivamente la natura riformista e liberalprogressista del Lingotto veltroniano. In realtà, non è tutto oro quel che luce e alcuni presunti pregi potrebbero tradursi in handicap. In primo luogo, la discontinuità con il gruppo dirigente del Pd è soltanto apparente. Elly Schlein gode del sostegno di tutto il gruppo dirigente che ha guidato il partito dal 2018 ad oggi. È con lei Goffredo Bettini, guru del partito romano ed eminenza grigia di numerosi passaggi della vita del partito, dai tempi di Veltroni a quelli di Zingaretti. Lo stesso Nicola, ex segretario e ormai ex presidente della Regione Lazio, la sosterrà con tutta la sua corrente. Su Elly ha investito parecchio Enrico Letta, il sedicente segretario uscente ma attivissimo nell’organizzazione del Congresso, fino al punto di modificarne le regole allo scopo di fare candidare la Schlein e di far partecipare al processo anche gli ex scissionisti di Articolo 1. Questi ultimi, guidati dall’ex ministro Roberto Speranza, sono ovviamente dalla parte della deputata bolognese e tirano finalmente un sospiro di sollievo per il fatto che la sinistra sarebbe così rappresentata al meglio. Su questa scia, Schlein ha il sostegno di Giuseppe Provenzano, l’ex ministro che chiese a Milano di restituire al paese il maltolto, di Laura Boldrini, pasionaria dei diritti, e di Andrea Orlando, che qualche giorno fa ha rinnegato il manifesto di Veltroni dopo esserne stato uno dei principali beneficiari. Non potendo ricandidarsi in prima persona, l’ex ministro del lavoro si accontenterà di portare la sua corrente organizzata sulla giovane candidata per cancellare quel poco di riformismo che ancora resiste nel Pd.

Pur essendo ben lontano dalla tradizione della sinistra comunista e radicale, anche il cattolico Dario Franceschini ha posizionato la sua corrente Area Dem sulla Schlein. Anche Matteo Ricci, il sindaco di Pesaro che ha testato la base per verificare l’accoglienza di una sua eventuale candidatura, sembra destinato al ruolo di coordinatore della campagna della Schlein. Insomma, alla luce di questa mappa, far passare la candidata come una campionessa della rivolta dei giovani contro i parrucconi del vecchio gruppo dirigente rasenta il ridicolo, al di là delle migliori intenzioni della diretta interessata. Inoltre, stando così le cose, la partita sembra già segnata, visto che tutte le correnti principali convergono su un’unico correntone “Elly”, mentre, ad oggi, Stefano Bonaccini può contare soltanto sul gruppo di Matteo Orfini, su Graziano Delrio e su Base Riformista, la corrente che porta le stigmate del “renzismo” e per questo fu falcidiata in sede di definizione delle candidature: la gran parte dei suoi – piazzati nei collegi più difficili, conquistati infatti dal centrodestra – sono rimasti fuori dalle camere. E tuttavia il percorso delle primarie potrebbe avere un’evoluzione diversa rispetto ai rapporti di forza già delineati: Stefano Bonaccini e Dario Nardella, suo alleato e vice, sono espressione sia di quell’asse tosco-emiliano che costituisce ancora oggi il più ampio e tradizionale bacino di consensi del Pd sia di quella formidabile base di amministratori locali che compongono lo scheletro del partito sul territorio.

Difficilmente la Schlein potrà rintuzzare la classica critica che attribuisce al Pd il limite di rappresentare i ceti medi riflessivi che abitano nei quartieri centrali delle città. La scelta del Monk a Roma per lanciare la candidatura è un tentativo di smentire questo luogo comune: il locale si trova sulla Tiburtina, in una zona abbastanza lontana dalla Ztl. Tuttavia il Monk, sito dentro dei capannoni industriali dismessi, è proprio il classico ritrovo della sinistra colta e alternativa, tutto il contrario di un covo di “proletari” urbani. Così, il popolo della Schlein è fatto di anziani militanti e giovani sardine, di ceto intellettuale e apparato di partito, che non è detto sia capace di rappresentare quell’onda travolgente che la candidata ha promesso.

Ma il punto di maggiore debolezza della Elly Schlein è proprio il contenuto della sua proposta. Nel menu offerto dalla casa si trovano, tutte insieme, la “conversione ecologica”, il “lavoro di qualità”, la sanità – ovviamente – “pubblica”, la “redistribuzione della ricchezza, del potere e del sapere”, la “lotta alle diseguaglianze e alla precarietà”, la progressività fiscale, il diritto alla casa, il reddito di cittadinanza e il rifiuto dell’autonomia differenziata. Si tratta di parole chiave, capaci di aprire immediatamente il cuore della base militante e di rassicurare quei gruppi dirigenti dem che credono che in Italia, paese dove lo stato intermedia più della metà del pil nazionale, esista il neoliberismo. Queste parole servono sostanzialmente a rafforzare le certezze ideologiche e a confermarsi nell’identità politica. Ma trasmettono soltanto aree di crisi senza fornire alcuna soluzione concreta. E, sopra ogni cosa, disegnano l’immagine di una sinistra che si autocomprende come moderna per i valori che afferma ma non accetta l’inadeguatezza di soluzioni che restano novecentesche e quindi tutt’altro che moderne.

A giudicare dal discorso del Monk, Elly Schlein esprime in modo giovanile, educato e forbito una lista dei luoghi comuni della sinistra italiana senza uno straccio di soluzione concreta e sensata adatta all’evoluzione della società moderna e capace di assumere le tragiche decisioni che i cambiamenti geopolitici e geoeconomici richiedono. Che è esattamente il motivo per cui la sinistra – non solo quella postcomunista ma anche quella socialdemocratica – è in crisi in tutta Europa. La spremuta di banalità ideologiche può bastare forse per fare da collante alle correnti in cerca di riscatto ma non per offrire una proposta alternativa di governo per il paese. Peggio poi se questo luogocomunismo rinfrescato dalla gioventù si annacqua ulteriormente nel populismo qualunquista, antiatlantico e pauperista dei Cinquestelle. Ecco perché, dall’esterno, Matteo Renzi segue con grande attenzione le vicende del Pd. A lui (e a Carlo Calenda) potrebbe perfino fare comodo una vittoria della Schlein. In tal caso, infatti, il Partito democratico sceglierebbe la deriva minoritaria di una parte dei suoi dirigenti, autorecludendosi nel ghetto della sinistra populista. Così facendo, rinuncerebbe a rappresentare l’intero centrosinistra e lascerebbe praterie di consensi al Terzo Polo.


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