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La premessa e il che. Uno spettro si aggira presso il dibattito pubblico. È la premessite, la malattia senile della dialettica. Il premesso che incombe in ogni discussione. La famosa libertà di espressione non è altro che un continuo mettere le mani avanti. In principio fu la pandemia. Non c’era dibattito senza il premesso che siamo dovuti essere tutti. Siamo tutti per il lockdown ma. Siamo tutti con la mascherina però. Tutti per i banchi a rotelle, per il plexiglass sotto l’ombrellone, per il ciclo vaccinale completo, per il distanziamento, per l’isolamento, per i droni che stanano i bagnanti solitari in spiaggia, tutti nella premessa. Si sollevava un piccolo dubbio, per esempio sul comitato tecnico scientifico ma per precipitare nell’anatema: nemici della scienza, nemici della salute, untori infine. E dalla pandemia si arriva alla guerra dove dopo ogni premessa – premesso che c’è un invasore e un invaso, premessa l’adesione alla Ue, alla Nato, all’Agenda Greta e adesso anche all’uranio impoverito – nessuno può fermarsi a riflettere, neppure il Papa, pena l’essere bollato col marchio di sovietico. Additati e sgridati da quello stesso clan Ztl che fino a vent’anni fa, caro Giovanni, s’è fatto palazzi, palazzetti, ville e villette coi rubli del Partito comunista. Una fissazione de’ tempi nuovi, questa della premessite. Premesso che ci si dichiara per le libertà, in cambio si soccombe al pensiero unico. Lo spettro, che ha preso possesso del dibattito pubblico. Con la premessa e il che – cancellando, cancellando – e imponendo: la malattia senile della dialettica.


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