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Giorgia Meloni in Parlamento

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IN QUESTI giorni di attesa per l’insediamento del nuovo Governo, tra le domande che si pongono addetti ai lavori e non ci sono quelle sulle caratteristiche che avrà il nuovo Parlamento. Basti pensare che, con l’entrata in vigore della legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1 “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, tra poche settimane sugli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama vi saranno rispettivamente solo 400 deputati (non più 630) e 200 senatori (non più 315). Può essere utile, perciò, analizzare i numeri emersi dalla tornata elettorale e resi disponibili dal Ministero dell’Interno attraverso la piattaforma Eligendo.

A far discutere è il numero delle donne elette, inferiore rispetto a quello attuale sia in termini assoluti, proprio in virtù della riduzione del numero di parlamentari, che in percentuale. Nella legislazione uscente le donne elette erano state 334 su 945, pari al 35,3%, che rappresenta la quota più alta nella storia. Alle elezioni dello scorso 25 settembre, invece, le donne elette sono state 186 su 600 parlamentari, pari al 31%.

È la prima volta negli ultimi vent’anni che la percentuale di donne elette diminuisce tra un’elezione e l’altra. Questo risultato ci colloca ora al di sotto della media europea di parlamentari donne, pari al 32,8%. Analizzando i dati dei partiti maggiori, a fare peggio è Fratelli d’Italia, nelle cui fila le deputate e le senatrici elette sono rispettivamente 33 e 17, con un totale di 50 su 185 rappresentanti, pari ad appena il 27%. Al secondo posto troviamo il Partito Democratico con il 28,6%. Ad avvicinarsi invece alla parità di genere in termini di eletti sono il Movimento 5 Stelle, che ha eletto 36 donne su 80 parlamentari (45%), e i centristi di Azione-Italia Viva con 14 donne su 30 eletti (46,6%). Forza Italia si è fermata al 31,6% con l’elezione di 19 donne su 60 parlamentari, mentre la Lega appena sotto con 30 donne su 95 pari al 31,5%. Fra i partiti minori, Noi Moderati ha eletto 3 donne su 9 (33%), mentre l’alleanza fra Sinistra Italiana e Verdi 5 donne su 16 parlamentari (31,2%).

Le responsabilità di questa diminuzione sono da ricercare nella legge elettorale e, soprattutto, nelle decisioni assunte dai partiti. In teoria il Rosatellum prevede misure che incoraggiano l’elezione di candidate: sul totale delle candidature, infatti, di una lista o di una coalizione un genere non può essere rappresentato più del 60%. Su 10 candidati, quindi, soltanto 6 possono essere uomini e nelle liste dei collegi plurinominali i generi devono essere alternati. Eppure, i partiti sono riusciti a eludere queste direttive con una manovra tanto semplice quanto prevedibile: le candidate sono state pluricandidate ovunque come capolista, mentre i candidati uomini sono stati presentati in meno collegi. In questo modo, in base al funzionamento del Rosatellum, sono stati favoriti soprattutto gli uomini: infatti, la persona in cima alla lista può essere eletta in un solo collegio mentre, se il suo partito dovesse vincere in più collegi, i seggi vengono assegnati al nome seguente nella lista bloccata del plurinominale che, in base al principio di alternanza di genere, è un nome maschile. Candidando così, per esempio, due sole donne come capolista in 10 collegi plurinominali e 10 uomini al secondo posto, nel rispetto delle indicazioni sulla parità di genere ciascun partito può fare eleggere 2 sole donne e ben 8 uomini.

Secondo i calcoli del sito di analisi La Voce, ad abusare delle pluricandidature sarebbero stati Fratelli d’Italia e la Lega. A questi dati si aggiunge la svolta storica per la Presidenza del Consiglio, che vedrà Giorgia Meloni a ricoprire il ruolo di prima donna premier. A lei andrà il merito di aver infranto per prima il tetto di cristallo: la sua leadership, tuttavia, potrebbe essere femminile, ma non femminista. Meloni è consapevole e fiera della sua autoaffermazione, ma nella sua azione politica manca quel legame con le altre donne che fa sì che il successo dell’una sia il successo di tutte. Sono note, poi, le sue posizioni contrarie alle quote rosa e alla maternità surrogata, le ambiguità sul diritto all’aborto e il contrasto all’identità di genere e a misure come quelle contenute nel DDL Zan.

In attesa della formazione del nuovo governo, i dati emersi dalle elezioni ci forniscono due importanti spunti di riflessione: è necessario che le donne continuino a farsi avanti in politica e che le azioni di tutte e tutti siano mosse con il pensiero sempre rivolto all’inclusione e al prezioso art. 3 della nostra Carta Costituzionale.


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