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Camilla Mendini

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7 minuti per la lettura

Ultimamente i followers non si perdono un suo post perché lei, Camilla Mendini, green influencer 33enne di Verona che da cinque anni vive con il marito e due figli a New York, ha cambiato di colpo vita. Ha detto addio alla Grande Mela nella morsa del Coronavirus e si è trasferita in un paesino della Florida sul Golfo del Messico. Un trasferimento al buio in un nuovo Stato, in una casa affittata online. Decisione presa e messa in pratica in dieci giorni, roba che solo in America. Ora, mi parla attraverso WhatsApp dal patio tropicale con affaccio sulla piscina.

Il trasferimento è andato a buon fine con soddisfazione soprattutto dei suoi piccoli,Timothy e Emma Rose, che dopo la quarantena in appartamento a NY, rincorrono armadilli e fanno il bagno nell’oceano. Camilla, Carotilla per il web, si occupa di moda ecosostenibile su Instagram e YouTube. Nel 2017 ha lanciato il progetto Carotilla Goes Sustainable e nel 2018 ha lanciato il marchio di moda ecosostenibile Amorilla. Nata come graphic designer, ha investito nella rete e oggi è una delle più seguite influencer attiviste ambientali italiane.

«Sul web ho incontrato molte persone interessate a fare questo cammino verso uno stile di vita più sostenibile, insieme a me» spiega, «perché alla fine le persone simili, si attraggono».

Di che cosa parli esattamente sul web?

«Su mio profilo Instagram e sul mio sito www.camillamendini.com do consigli sulla moda proponendo soluzioni alternative ai marchi di fast fashion, cioè le grandi catene di abbigliamento a basso costo e di bassa qualità che prosperano sullo sfruttamento dei lavoratori nei paesi poveri, parlo di viaggi ecologici, propongo soluzioni a zero rifiuti, segnalo marchi che offrono prodotti e servizi che condividono i miei stessi valori: l’etica e la trasparenza. Mentre sul mio canale YouTube pubblico video che vengono più incontro alle curiosità della mia community, su New York e la vita che conduco in America».

Si può condurre una vita ecosostenibile nel 2020?

«È chiaro che ambire a diventare totalmente sostenibili è uno stress inutile, un proposito praticamente impossibile da realizzare. Bisognerebbe rinunciare a tutto e tornare a vivere nelle caverne. L’obiettivo secondo me è comprendere che l’attività di ognuno di noi ha un impatto sull’ambiente ed è necessario che tutti agiamo in modo più consapevole e responsabile per ridurlo il più possibile. È inutile dire che ne va della sopravvivenza del pianeta e quindi anche della nostra».

E come si fa?

«Tutti possiamo fare la nostra parte introducendo piccoli cambiamenti negli aspetti più diversi della nostra vita. Con la raccolta differenziata dei rifiuti, cercando di utilizzare mezzi di trasporto green, consumando cibi il più naturali possibili, usando detersivi ecologici, cercando di sprecare meno acqua possibile. Alla mia community ho proposto l’iniziativa di raccogliere i rifiuti a terra che troviamo camminando per strada. Un gesto di responsabilità ecologica e civile. Ho anche partecipato insieme ai miei followers alla challenge lanciata dalle Nazioni Unite contro lo spreco di acqua, la sfida è stata quella di fare la doccia entro cinque minuti, il tempo che è stato stabilito come sufficiente per lavarsi adeguatamente. E poi c’è la sfida più importante: la base del pensiero di vita sostenibile è comprare solo ciò che è davvero necessario, prediligendo materiali naturali. Lo sforzo è quello di mettere in pratica un consumismo cosciente».

E su questo punto entra in gioco il fashion, il settore in cui tu sei un punto di riferimento.

«Sì. I social media sono lo specchio del mercato, i fashion influencer inducono spesso all’acquisto compulsivo, puntando sulla quantità con l’illusione di spendere il meno possibile. Il cosiddetto fast fashion. Ma molto sta cambiando negli ultimi anni, perché le persone hanno compreso il gioco. L’etica ecosostenibile è sempre più diffusa, le persone si pongono più domande al momento dell’acquisto e le aziende compreso il trend, si stanno adeguando. Molti marchi hanno dato il via a strategie di greewhashing, cercano cioè di dare una patina di ecosostenibilità alle loro attività, giusto per dare un’impressione positiva ai consumatori. Ma è solo un’impressione: in realtà continuano a produrre a basso costo con prodotti chimici e materiali inquinanti sfruttando il lavoro nei paesi sottosviluppati. Io provo a raccontare tutto questo, cercando di fornire gli strumenti a chi compra per comprendere se un capo è davvero ecosostenibile, al di là di ciò che raccontano le campagne di comunicazione del brand. E quindi ho dato vita io stessa a una linea di moda».

Come hai creato il tuo marchio di moda ecosostenibile, Amorilla?

«Per me è stato un grande passo. La prima linea di moda si avvale dell’opera di artigiani indiani non in regime di sfruttamento. I tessuti sono al 100% naturali, stampati con una tecnica indiana che prevede l’uso di stampi di legno intagliati a mano. Per la seconda collezione mi sono rivolta a sarte italiane con tessuti naturali filati a Como. Le mie collezioni fatte di pochi capi, nascono quando scopro dei tessuti particolari, dei colori, tecniche di tessitura di cui mi innamoro. Da qui il nome del brand, Amorilla. Probabilmente se fossi rimasta in Italia non mi sarei imbarcata in un progetto simile, troppi lacci e lacciuoli burocratici, in America tutto è più immediato».

Camilla, come sei diventata green influencer?

«Ho studiato al Politecnico di Milano e per cinque anni ho lavorato come graphic designer, facevo la stagista e nessuno mi pagava. Allora me ne sono tornata a Verona, la mia città dove ho iniziato a lavorare come free lance finalmente retribuita. Nel frattempo mi sono sposata, è nato il primo figlio e mio marito che lavora per un’azienda alimentare, ha avuto il trasferimento negli USA, a New York. Entrambi amiamo viaggiare, e ho accolto la nuova esperienza con entusiasmo. La nostra nuova vita negli States è partita con la nascita della nostra seconda figlia. Bellissimo, ma certo per me con due bimbi piccoli è stato praticamente impossibile inserirmi nel competitivo mondo del lavoro americano, dove il part time non esiste e nella grafica, si lavora a chiamata».

Quindi, con il lavoro eri ferma?

«Con un bambino di due anni e una bambina di pochi mesi non riuscivo a inserirmi. Così ho pensato che dovevo trovare un lavoro su misura per me. Occupandomi di grafica e comunicazione, ero sempre stata attratta dal web e avevo già iniziato a pubblicare dei video sulla mia vita a New York, tanto per prendere le misure… Quindi mi sono resa conto che su YouTube Italia, sulle tematiche green a cui io ero già molto interessata, c’era sostanzialmente il vuoto. Allora, mi sono buttata».

Perché ti rivolgi solo a un pubblico italiano?

«Allora non mi sarei mai messa a parlare in inglese. Non volevo mettere a rischio un progetto, farmi sconfiggere per un problema di lingua. Intanto, la mia community è cresciuta: giovani tra i 25 e i 35 anni, soprattutto donne. L’anno scorso ho iniziato a collaborare con una persona, un manager che si occupa di gestire i clienti, tutti brand certificati di cui verifico io stessa il valore ecosostenibile».

Con il Coronavirus ti sei trasferita in Florida. Anche il tuo lavoro è cambiato?

«A causa del Covid ho dovuto sospendere la produzione di nuove collezioni: purtroppo non potendo viaggiare è difficile mettere in piedi la filiera con l’estero. Per ora lavoro con altri brand certificati. Il mio sogno oltre a quello realizzato della linea di moda, sarebbe quello di creare un negozio di e-commerce in cui trovare tutti prodotti sostenibili».

Pensi di tornare a vivere in Italia?

«Io amo l’America perché ti permette di realizzare le idee e chi ha idee viene apprezzato. In Italia c’è una tendenza inesorabile al giudizio, anche per chi semplicemente vuole cambiare lavoro. È tutto molto più complesso. Un ritorno in Italia è nei nostri progetti, per l’istruzione completa dei nostri figli: io e mio marito non ci fossilizziamo, amiamo cambiare le coordinate della nostra vita. In ogni caso, per me c’è sempre l’altra casa: il web».


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