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Anselmo Prestini, influencer di viaggi, natura e sport

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«SE non si vede sui social vuol dire che non è successo. Ma quello che si vede sui social è successo davvero?». La provocazione, la lancia l’influencer Anselmo Prestini nel suo libro “Per un pugno di follower”, edizioni Vallardi, in libreria dal 30 settembre scorso, in cui la star web 26enne di origini trentine racconta in maniera acuta e ironica il dietro le quinte della vita da influencer.

Ma il dilemma su cui invita a riflettere Prestini va oltre l’approccio ai social di chi guadagna con la popolarità in rete e si estende a un comportamento sociale sempre più diffuso: vivere le esperienze in funzione della loro “instagrammabilità”.

È noto cioè che le nuove generazioni scelgano le mete di viaggio in base all’appeal che possono avere sui social, selezionino gli amici in base al numero di followers e aspirino ad un aspetto che rientri il più possibile nei criteri della “selfie face”, cioè della faccia da selfie. Insomma, tutto per un pugno di followers, anche tra la gente comune. Ma ne vale la pena?

Il bilancio è un’impresa difficile, ormai il fenomeno è di massa. Certo è che diventare influencer è il sogno dei ragazzi, la cosiddetta Generazione Z. Ed è anche l’aspirazione di Omar, il giovane protagonista del romanzo di Prestini, un po’ il suo alter ego. Scritto su esperienze di vita vissuta in prima persona o dai colleghi influencer in chiave romanzata. Un libro che trasmette la forza e l’entusiasmo di chi si mette in gioco per realizzarsi affrontando difficoltà, illusioni e delusioni cercando di rimanere se stessi.

Anselmo è originario di Madonna di Campiglio, ama i viaggi, la natura, gli animali. Ha due lauree in comunicazione, è maestro di snowboard e tre anni fa ha lasciato le sue amate montagne per trasferirsi a Milano e rincorrere il sogno di diventare un affermato influencer.

Anselmo, perché hai deciso di scrivere questo libro?

«Leggevo i romanzi scritti da tanti miei colleghi e li trovavo autocelebrativi. Insomma, tanti si rappresentavano così come appaiono nei social. Allora mi sono detto: ma a che serve scrivere dei libri così? E ho pensato che sarebbe stato interessante raccontare tutto ciò che c’è dietro una foto e che sul profilo non si può neanche immaginare».

Che c’è dunque dietro una foto?

«La domanda da porsi in effetti è: quel che si vede è successo davvero?».

E la risposta qual è?

«Spesso non è successo. Cioè, non è andata proprio così come appare. Soprattutto quando sei una matricola, fai parte cioè di quel sottobosco di aspiranti influencer che ogni anno a settembre approda da tutta Italia a Milano, capitale della comunicazione, con l’obiettivo di entrare nei giri giusti e raggiungere i primi sospirati 100K. Per scattare la foto agli eventi che contano sono disposti a mille sotterfugi».

Fammi qualche esempio di questi escamotage.

«Beh, queste cose le abbiamo fatte un po’ tutti. Nessuno escluso. Siamo un gruppo di amici influencer. E alla Milano Fashion Week è successo che alcuni di noi si siano travestiti da fotografi e al mio arrivo abbiano cominciato a gridare Anselmo! Anselmo! e a scattare foto. I paparazzi veri allora hanno cominciato a scattare anche loro, pensando di trovarsi di fronte a una celebrity. Ci siamo imbucati più o meno a tutte le sfilate, sperando di fare colpo e ottenere contratti con i brand. Abbiamo convinto il ragazzo filippino che fa le pulizie in casa nostra a farci da driver di un’auto di lusso presa a noleggio per l’occasione e così abbiamo fatto il nostro ingresso agli eventi con lo scatto giusto. Oppure, al Festival del Cinema di Venezia: ci eravamo vestiti di tutto punto ma avevamo già speso 70 euro di taxi boat per andare ad un evento. Da lì poi dovevamo raggiungere il Lido e per risparmiare abbiamo convinto un pescatore ad accompagnarci per dieci euro a testa. Siamo approdati in un angolo buio per non farci vedere da nessuno, puzzavamo di pesce da far schifo, ma poi, sui social sembravamo delle vere star. Quest’estate a Mykonos ho perseguitato una ragazza che si occupava delle pubbliche relazioni del miglior albergo del posto, il Cavo Tagoo, ma non c’è stato verso di ottenere il soggiorno in cambio di pubblicità social in una delle loro stanze. Alla fine, lei stanca delle mie richieste mi ha detto: “Va bene, ragazzi, vi concedo di entrare in una suite durante le pulizie tra l’arrivo di un cliente e l’altro. Vi do 10 minuti per scattare le foto. Beh, con quelle foto ci ho fatto un servizio fotografico in cui sembrava che avessi soggiornato lì per cinque giorni».

Sembra un film dei Vanzina.

«In effetti. Nel libro racconto tutto e mi piacerebbe farne un film o una serie Tv».

Questi sono gli aspetti divertenti della gavetta, ma tu nel libro parli anche di tanta solitudine.

«Sì. Il protagonista del mio libro quando è arrivato, si rende conto che il mondo che aveva idealizzato è all’opposto di quello che voleva. È un mondo di egocentrici che puntano tutto sull’immagine, dove i contatti umani le amicizie vere sono poche. Tra influencer avviene che se qualcuno vuole essere tuo amico non sai mai se lo fa perché è interessato a te oppure vuole che lo tagghi nelle stories».

Tu la pensi così?

«Io non so se sono arrivato, ma ho un mio pubblico che mi ama, guadagno bene, faccio la vita che volevo. Da questa vita non vorrei tornare indietro, ma a volte quando rientro a casa da un evento mi chiedo che cosa mi è rimasto di questa serata? Che senso ha? Oggi gli alberghi mi chiamano per chiedermi di sponsorizzarli, i brand mi inviano capi di abbigliamento, viaggio intorno al mondo, ma comunque la nostra è una vita molto stressante. C’è tanta concorrenza e vivi costantemente preoccupato di trovare nuove idee più brillanti degli altri. Inoltre mi rendo conto che spesso tutto quello che faccio è finalizzato a uno scatto da postare sui social e questo non mi piace. So che per superare questa cosa devo lavorare molto su me stesso».

Spiegami.

«Per esempio: fin da piccolo in montagna andavo con mio padre a fare le camminate ed era bellissimo. Oggi vado se sono sicuro di arrivare in cima e fare lo scatto da postare. Quest’estate sono stato a una festa molto esclusiva. Quando mi hanno avvertito che non avrei potuto fare né foto né video ci sono rimasto malissimo, volevo andare via. Stavo per rinunciare a quella bellissima serata solo perché non potevo postarla sui social e questo mi ha fatto molto riflettere. Certo, io ho la capacità di relativizzare tutto questo, perché ho delle salde radici: la mia famiglia, la montagna, un ambiente naturale con le sue leggi, dal quale provengo, che mi danno tanta forza. Alla fine, queste cose le porto dentro di me e sono quelle che mi piace condividere con i miei followers. Le sfilate, la moda, i vestiti sono un gioco: non me ne importa niente».

Ma come, non te ne importa niente della moda?

«No. Mi serve per lavorare. Tanta della roba che mi mandano i brand la do a mio fratello gemello che vive ancora a Madonna di Campiglio e fa il poliziotto. Lui è tutto il contrario di me, è completamente asocial».

Cosa ne pensa il tuo gemello poliziotto della tua carriera da influencer?

«Mi dice: sei bravo, ma lui non lo farebbe mai. Quando ci hanno contattato per partecipare in coppia al reality Pechino Express, ha fatto di tutto perché il provino andasse male. Ma io non voglio che cambi, la mia famiglia è la mia forza perché è così».


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