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Il ministro Patrizio Bianchi

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Meglio non farsi illusioni. La crisi di governo, la terza della travagliata legislatura che si avvia al tramonto, non apre solo lo spiraglio del voto, praticamente quasi dimenticato dopo tre esecutivi nati su patti di fiducia fra diverse forze politiche. Sul tavolo resta una pila di dossier alta così. Materiale destinato ad alimentare la ventura campagna elettorale, così come a far discutere su quanto sia stato realmente fatto e quanto ancora ci fosse da fare. Il problema è che, in momenti di crisi, è difficile inquadrare il tutto sul mero piano politico Lo scioglimento del Governo fa i conti con sliding doors e azioni rimaste in sospeso, lasciando aperti alcuni interrogativi sul futuro. E se alcune forze politiche alzano il pressing su temi caldi (o caldissimi) come le pensioni, la nuova pace fiscale e le altre misure di sostegno alla popolazione, resta appeso a un filo il compimento della riforma scolastica animata dal dicastero Bianchi.

Una prima fumata bianca in realtà era arrivata, quando l’ormai ex ministro dell’Istruzione aveva ottenuto un risultato importante sul piano del reclutamento e della formazione del personale docente. Una modifica nell’iter procedurale non solo per la selezione degli insegnanti ma anche per accedere alla professione stessa. Un risultato, sì, ma arrivato a compimento solo in modo parziale. In sospeso, infatti, restano i decreti attuativi che, secondo quanto previsto dalla Legge 76, avrebbero dovuto portare a dama il testo integrale della riforma. Un lavoro imponente, che ha incontrato però il malumore dei lavoratori del comparto scolastico e, soprattutto, la resistenza dei sindacati. Tanto che, il 30 maggio scorso, le organizzazioni avevano indetto l’agitazione del personale scolastico.

Il progetto Bianchi però, già in quei giorni, si presentava come decisamente più ambizioso. Mentre il testo della riforma navigava nelle acque agitate del Parlamento con l’obiettivo della prima approvazione, il ministro aveva già puntato i riflettori sul futuro della scuola media, ponendo la riforma del secondo step dell’istruzione obbligatoria come una necessità strutturale più che un semplice restyling: «Al momento non è ne carne ne pesce – aveva detto Bianchi -. Serve una scuola media che superi la rigida divisione disciplinare. Che proietti di più il modo di lavorare che c’è stato nella scuola primaria». Senza contare l’intervento, legato sempre al Pnrr, sugli istituti tecnici e professionali. Componente forse fra le meno battute, se non altro per i tempi ristretti. La promessa di un piano di riforma da presentare entro l’estate, infatti, si è scontrata col pantano della crisi, lasciando ipotesi più che proposte effettive.

L’all-in, però, era stato già fatto sulla formazione. Tanto che, in un intervento del primo maggio a Radio 24, il ministro aveva parlato di tre pilastri della riforma, indicati come «formazione, formazione e formazione». Uno spunto per ribadire la necessità di un percorso di collegamento fra l’istruzione universitaria e l’approdo effettivo al ruolo. Due step che avrebbero dovuto essere inframmezzati da un periodo di tirocinio guidato. «E poi la formazione continua, quella che deve permettere ai nostri insegnanti di cogliere la capacità di orientare i nostri ragazzi. Bisogna investire sulla formazione degli insegnanti». Con il Pnrr, le riforme previste prevedevano oltre 19 miliardi, orientati su interventi a salire dagli asili nido fino alle università. La buona notizia è che, visto l’inquadramento negli interventi urgenti, almeno parte degli obiettivi dovrebbe quantomeno passare al setaccio. Alcuni snodi cruciali però, come la riforma del reclutamento, rischiano seriamente di finire in soffitta.

L’approvazione dei decreti attuativi, che sarebbe stata decisiva, rischia di finire tra gli affari secondari (anche se il tempo e il modo per occuparsene ci sarebbe). E, di conseguenza, di lasciare invischiati nelle sabbie mobili gli ultimi passi per portare a compimento il piano di riforma inaugurato dal ministro. Il che, con un piano di assunzioni che dovrebbe coinvolgere oltre 94 mila insegnanti, potrebbe essere un brutto affare.


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