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Il presidente della Regione Liguria e leader di Italia al Centro, Giovanni Toti

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“UNA scelta di coerenza e responsabilità”, così il governatore ligure e leader di Italia al centro Giovanni Toti definisce Noi moderati, la lista unitaria che in vista del voto del 25 settembre ha unito la sua formazione con Noi con l’Italia di  Maurizio Lupi,  Coraggio Italia di  Luigi Brugnaro  e l’Udc di Lorenzo Cesa.

L’obiettivo è chiaro: recuperare il voto dei moderati convogliandolo verso un unico soggetto con un pensiero, una visione e una storia comune.

Presidente Toti, la scelta di correre alle prossime elezioni con un unico soggetto insieme agli altri “centristi” della coalizione di centrodestra, quanto è stata dettata da necessità e quanto da volontà? La legge elettorale, lo sappiamo, impone alleanze “forzate”…

«Questa legge elettorale certamente spinge agli accordi perché avvantaggia le grandi coalizioni. Però non parlerei di una scelta di necessità ma di responsabilità. Siamo una forza tranquilla ma determinata che può dare un concreto e importante contributo al centrodestra e metterci insieme, restando coerenti con le nostre idee e la nostra storia, semplifica anche molto il quadro politico agli elettori che già votano in un clima di confusione».

Concretezza e pragmatismo sono aggettivi a lei cari, molto ricorrenti nel programma della sua formazione, ora confluita nel cartello “Noi moderati”. Crede che la piattaforma programmatica comune del centrodestra possa rispettare questi criteri?

«Oggi se parliamo del futuro del Paese, dobbiamo come prima cosa garantire il Governo migliore. E l’unica coalizione in grado di presentare un programma e soprattutto lavorare per realizzarlo davvero è il centrodestra. Concretezza e pragmatismo sono le nostre stelle polari, è il metodo Draghi che abbiamo già applicato nei territori che amministriamo, mettendo al centro la capacità di portare avanti le decisioni prese e la cultura di governo. E sono certo che saremo in grado di farlo anche per il Paese, senza coltivare gli odi sociali e le fobie che si sono viste nell’ultima legislatura».

Quando la settimana scorsa in conferenza stampa ha presentato “Noi moderati”, lei ha fatto una sorta di autocritica – cosa rarissima in politica – ammettendo che la vostra “reunion” emenda alcuni errori del passato. Quali?  

«Molti milioni di elettori fino a pochi anni fa si riconoscevano in un polo moderato che si è andato via via sfaldando. Una situazione che non fa bene al Paese, alla stessa coalizione di centrodestra, al pragmatismo. Questo anche per colpa di chi non ha saputo mettersi insieme e superare tanti rivoli. Oggi proviamo a ridare forza alla gamba moderata, rimettendo insieme famiglie che, pur con sensibilità diverse, hanno un pensiero, una storia e un’idea di Paese comune. Da realizzare non con slogan o voli pindarici ma con promesse realmente realizzabili. Proprio come ‘Noi Moderati’ abbiamo dimostrato di saper fare  sul campo da amministratori del territorio».

Marciare uniti e compatti è sicuramente un vantaggio rispetto agli avversari, ma con un Pd così sbilanciato a sinistra crede che l’accordo elettorale fra Renzi e Calenda possa erodere consenso a voi?

«Il fatto che un partito politico faccia e sciolga alleanze nel giro di una settimana in tutta franchezza mi fa dire che non c’è sufficiente equilibrio per costruire qualcosa di duraturo. Stare dietro a quello che si spaccia per ‘terzo polo’ oggi è molto complicato e penso che lo sia anche per gli elettori».

Cosa vi differenzia dall’offerta programmatica e dallo spazio politico di questo autoproclamatosi “terzo polo”?

«Con Calenda ho dialogato a lungo, è un ministro che ho stimato e ha nel suo programma alcuni temi utili e condivisibili per il Paese. Dopo di che, ho seguito queste turbolenze delle ultime settimane e in tutta franchezza non ho capito bene dove si vuole andare. Essere moderati e portare competenza e capacità di governo significa anche moderazione dei toni, capacità di tenuta, spirito di mediazione e tutto questo in quello schieramento non lo vedo. Vedo una discussione un po’ confusa tra collegi, tra personalità piuttosto ingombranti che confliggono»

La leader della sua coalizione, Giorgia Meloni, pur non rinnegando ovviamente il suo essere di destra e leader di un partito conservatore, sta conducendo questa campagna elettorale all’insegna della “rassicurazione” sia sulla collocazione internazionale, sia con parole nette sul fascismo. Da giornalista, prima che da politico che ne pensa?

«Quello sul fascismo mi sembra un dibattito surreale. Io ho fatto campagna elettorale in Liguria, una regione tradizionalmente di sinistra, in cui per anni ho dovuto rispondere a chi insinuava che la nostra amministrazione di destra fosse filofascista. La trovo una demonizzazione francamente assurda e che si debba continuare a giustificarsi, anche nei confronti della stampa estera, è qualcosa che indebolisce il Paese. Di Giorgia Meloni si possono condividere o no le idee e i progetti per il Paese, ma questo non ha nulla a che fare con il fascismo».


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