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Il biologico corre, il ministero frena. Ancora una volta le scelte vincenti degli agricoltori trovano ostacoli nella burocrazia lentissima. La denuncia arriva dalla Corte dei conti che ha messo nero su bianco una dettagliata analisi sui finanziamenti per la ricerca nell’agricoltura biologica, pubblicata nei giorni scorsi. Il quadro che ne esce non è esaltante. I ritardi hanno infatti segnato la programmazione presa in esame (2014/2020). Da qui la raccomandazione: «Accelerare l’attuazione dei progetti e realizzare un efficace monitoraggio dei finanziamenti».

I RILIEVI DELLA CORTE E LE INDICAZIONI

Malgrado i tempi biblici dell’amministrazione il settore è andato avanti. Nel periodo esaminato, infatti, l’agricoltura bio si è estesa da 1,3 milioni a oltre 2 milioni. Ma non è aumentata solamente la superficie investita, buone le performance anche di fatturato ed export. Il giro d’affari tra il 2008 e il 2020 è triplicato (da 2 a 6 miliardi). E si tratta di un settore dai numeri particolarmente significativi nel Mezzogiorno.

L’Italia, evidenzia uno studio della Coldiretti, è al primo posto nell’ambito dell’Unione europea con il 16% della Sau, con oltre due milioni di ettari e 90mila operatori e un valore dell’export che viaggia su 2,6 miliardi. Sul podio si collocano le regioni meridionali, con la Sicilia in testa con 370mila ettari, seguita dalla Puglia (266mila ettari) e dalla Calabria, dove un campo su tre è biologico. Insomma, si tratta di un settore da sostenere, anche alla luce delle decisioni di Bruxelles che hanno indicato un traguardo del 25% di superfici investite nel biologico nell’Unione europea entro il 2030. Ma il nostro ministero che fa? Rallenta i processi di sviluppo e innovazione. La Corte dei conti ha infatti riscontrato sui finanziamenti «un consistente accumulo di residui e una limitata capacità di smaltimento degli stessi, oltre a un rilevante ammontare di economie, pari a 25.640.850 euro, negli esercizi oggetto di indagine».

La magistratura contabile denuncia dunque l’intrinseca lentezza della procedura e la liquidazione dei progetti «in tempi estremamente lunghi». Con un invito all’amministrazione a mettere in atto modifiche al procedimento per accelerare le procedure di liquidazione.

Una delle proposte è di nominare una commissione permanente senza dover procedere ogni volta alla designazione di una commissione diversa. L’obiettivo è di rendere l’iter più snello e veloce. Tra le criticità c’è la limitata capacità di pagamento rispetto alla disponibilità, con un livello dell’8% nell’ultimo quinquennio. Un dato che appare ancora più basso se si considera la possibilità per l’amministrazione di concedere anticipi fino al 60% e acconti fino al 90%.

La Corte dei conti invita dunque a «intraprendere iniziative tese a limitare l’immobilizzo delle risorse che, in particolare per gli esercizi più recenti, ha assunto dimensioni particolarmente significative». Negli anni 2020 e 2021, infatti, il pagato è pari rispettivamente all’8 e al 4%.

Si riscontrano ritardi degli avanzamenti dei progetti: per esempio le procedure relative ad alcune iniziative del 2016 e 2017 e terminate nel 2018 non risultano ancora concluse.

LA PIAGA ETERNA DELLA MANCATA SPESA

Alcuni numeri sulla mancata spesa, vera e propria piaga delle amministrazioni italiane, confermano le criticità. Nel 2016, a fronte di una massa spendibile di 7.908.109 euro risultano pagati 395.002 euro, pari al 4,9%, nel 2017 va un pochino meglio con 10.826.539 euro disponibili e 1.550.271 pagati pari al 14,3%, ma si torna indietro nel 2018 con un 4,87% (622.620 euro su 12.785.444 euro) per risalire al 9,6% nel 2019 (1.494.487 euro su una massa spendibile di 15.549.767. Sulla mancata predisposizione del Piano per la ricerca, la nota della Corte fa sapere che la scadenza è slittata al 31 dicembre 2023 «per i disagi provocati dalla pandemia». Nel triennio 2016-2018, l’amministrazione, pur potendo contare su stanziamenti iniziali, non li ha mai impegnati nell’esercizio di competenza; ciò ha comportato la necessità di una riassegnazione dello stanziamento definitivo nell’anno successivo, in conto residui.

Viene dunque segnalata una rilevante presenza di economie, date sia dal mancato impegno di somme stanziate in conto competenza per un importo di 13.801.531 euro, sia anche da residui, per 11.839.319 euro, per un totale di 25.640.850 euro nel periodo in esame.

E così negli anni è lievitata la massa spendibile a disposizione dell’amministrazione, mentre i pagamenti risultano nettamente inferiori. Insomma, si spende poco perché, secondo il Mipaaf, «l’iter amministrativo di pagamento ha fisiologicamente dei tempi lunghi, poiché per la liquidazione del saldo e la verifica delle spese sostenute si rende necessario attendere la conclusione del progetto (durata 24-36 mesi); nominare mediante decreto direttoriale una commissione incaricata di verificare dal punto di vista tecnico i risultati del progetto e dal punto di vista amministrativo e contabile la regolarità delle spese sostenute e infine procedere al saldo».

Il biologico, dunque, può attendere, così come ha dovuto pazientare molto per ottenere il definitivo via libera dal Parlamento a una legge di riforma finalizzata anche a valorizzare il made in Italy. Uno dei problemi è infatti l’elevata quota di importazioni. Negli ultimi dieci anni, secondo un report della Coldiretti, le vendite bio totali sono più che raddoppiate (+122%) e il successo nel carrello sostiene l’aumento della produzione nazionale fornendo una spinta al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla strategia Farm to Fork del New Green Deal e dalla nuova Politica agricola comune che puntano ad avere almeno 1 campo su 4 dedicato al bio in Italia.

SCATTA L’ALLARME SUL FRONTE IMPORT

Ma l’allarme scatta sul fronte dell’import . Nel confronto con i prodotti bio stranieri, realizzati a basso costo, il made in Italy è poco competitivo se non dispone di armi per comunicare correttamente la sua distintività e qualità. La Coldiretti ha ricordato che gli acquisti sui mercati terzi hanno segnato una crescita del 13% per un totale di 210 milioni di chilogrammi di prodotti di cui quasi un terzo in arrivo dall’Asia.

Si tratta di cereali, frutta fresca e secca e colture industriali, ma anche olio e agrumi. Mentre il biologico italiano ha grandi potenzialità e già nel 2021 ha toccato la quota di 7,5 miliardi di euro tra consumi ed export. Ma con un maggiore supporto si potrebbero raggiungere traguardi più ambiziosi. I soldi ci sono e, come nelle migliori tradizioni del nostro Paese, il problema non è trovarli, ma utilizzarli. Ancora una volta il Piano, che incontra i maggiori ostacoli nei meandri del dicastero di Via XX Settembre, conferma la regola. E questa volta non sono le imprese a denunciarlo, ma un organo autorevole come la Corte dei conti.


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