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Se l’alta velocità ferroviaria si ferma a Salerno e l’autostrada del Sole a Napoli perché stranirsi se il Giro ignora il Mezzogiorno?

Sarebbe pensabile un giro d’Italia che partisse da Bologna e si fermasse a Palermo? Sarebbe immaginabile che la Gazzetta dello Sport si presentasse dagli sponsor istituzionali, come Enel e Ferrovie dello stato per esempio, con un progetto di giro che lasciasse tutto il Nord assente dalla più grande competizione sportiva ciclistica italiana?

E perché invece nessuno si stupisce se il Giro lascia lo stivale fuori dalla competizione? Se poco meno di un terzo della popolazione viene privata e non viene toccata dalla gara?

D’altra parte se l’alta velocità ferroviaria si ferma a Salerno, se l’autostrada del Sole si è fermata a Napoli perché stranirsi se il Giro mette in vetrina solo una parte dell’Italia, quella che conta secondo alcuni. Eppure è proprio la parte che più ha bisogno di mostrarsi che rimane fuori. Quella che é meno conosciuta dal mondo, quella Calabria che per anni e stata la nostra Amazzonia, abbandonata ai nativi, meglio nella quale “gli indigeni” sono stati, lasciati in mano della criminalità organizzata, dove la sanità è stata commissariata, lasciata nelle mani di manager improbabili, di politici trombati provenienti dalle regioni “brave”.

E d’altra parte qualcuno potrebbe anche sostenere che l’Italia è talmente lunga che può anche essere naturale che in qualche anno si possa farlo passare solo da una parte e che può anche essere opportuno, per motivi organizzativi, che ci si possa concentrare solo in una area del Paese. Tutto logico e comprensibile. Se fosse un fatto che alternativamente riguardasse tutti. Il fatto è che invece vi é una parte che viene sempre compresa ed una che viene lasciata qualche volta fuori. Occasione opportuna per riflettere sull’approccio del Paese con il suo Sud, ritenuto frontiera, spesso sconosciuto e guardato come territorio “d’oltremare”.

Lo stesso atteggiamento che si é avuto per i grandi eventi, che non lo toccano quasi mai, per le agenzie internazionali che non vi vengono localizzate, parte utile per posizionare le raffinirei e l’industria pesante, dal quale attingere capitale umano nei momenti di espansione, e da utilizzare come mercato di consumo interno non solo per i beni ma anche per i servizi, da quelli sanitari a quelli scolastici, se é vero che si mortifica la sanità locale per alimentare i viaggi della speranza o si potenziano le università, compresa quella Cattolica, per attrarre i giovani meridionali, che sostenuti nei costi dalla società di provenienza serviranno ad alimentare il mercato del lavoro della parte ricca, in una operazione di sottrazione di un patrimonio finanziario e di capitale umano che ormai dura da decenni e che ha portato all’ impoverimento non solo di alcune aree ma, in una visione bulimica di una parte, di tutto il Paese.

E il Giro é una visione plastica di un vecchio modello che andrebbe superato ma che invece torna prepotentemente perché é insito in una visione provinciale della parte che conta. E nessuno si straccia le vesti o si rifiuta di sponsorizzare una manifestazione chiamata d’Italia ma che dovrebbe piuttosto essere individuata come il Giro di mezz’Italia o che lascia fuori la colonia. Tale scelta sarebbe assolutamente da non commentare se non fosse un indicatore di un approccio, che riguarda tutta la società italiana che conta, tutte le imprese più importanti partecipate, che hanno guardato a questa parte come residuale, per cui le Ferrovie non vi hanno investito, l’Anas non ha fatto le manutenzioni richieste, la Rai pubblica l’ha guardato per le cronache criminali, tanto la classe politica locale chiedeva altro alla politica ed alla grande impresa: il posto di lavoro per l’amico, mancette per i propri clientes, mai un Ministero delle infrastrutture ma piuttosto quello delle Poste.

Il Giro é l’occasione di una riflessione necessaria per chi ha in mano il volante della guida del nostro Paese, che non sono certamente i rappresentanti eletti del Mezzogiorno, che se non si muovono secondo le logiche e gli interessi prevalenti rischiano la loro stessa esistenza. Come si è visto in Conferenza delle Regioni, nella votazione riguardante l’autonomia differenziata, che ha visto votare a favore i governatori meridionali della maggioranza, per disciplina di partito, tranne poi qualche giorno dopo andare ad Arcore a lamentarsi con il loro capo di una normativa che sottrarrebbe ulteriori risorse. Anche quelli che rappresentano regioni importanti come Occhiuto o Schifani.

Bisogna cambiare cappello e finalmente fare quello che a parole si é sempre dichiarato cioè affermare e partire in ogni decisone dalla centralità del Mezzogiorno, perché tale cambio di paradigma é l’unico che può riportare il Paese ad essere competitivo rispetto ai partner importanti del continente. Convincersi che i fattori che vanno sfruttati per far ripartire il Paese si trovano tutti nel Mezzogiorno, a cominciare da una posizione logistica nel Mediterraneo importante rimasta totalmente non utilizzata. Capire che il nostro Western, verso il quale bisogna muovere risorse e impegno, quello che ha tutti i fattori produttivi inutilizzati, da quelli ambientali a quelli umani a quegli logistici, la nuova frontiera, é pronto a rappresentare il futuro di questo nostro Paese.

La parte che può crescere a tassi da tigre d’Oriente, che può rappresentare la soluzione alla eccessiva antropizzaione di un Nord ormai saturo. Sembrerebbe cosi facile da capire per una società pensante eppure le resistenze continuano ad essere enormi, anche se alcune posizioni recenti, come quella di tutta la destra, ma in particolare della Lega, sul ponte sullo stretto e sulle altre infrastrutture al Sud, mostrerebbero un cambio di passo molto interessante, che fa ben sperare. Vedremo nei prossimi mesi se é strumentale o sincero, mentre la sinistra sembra non capire l’esigenza di un cambiamento che, se non avviene, rischia di far crollare il sistema Paese, sotto le proprie contraddizioni, che possono essere rappresentate da una parte dove lavora una persona su due ed un’altra dove invece ne lavora una su quattro, compresi i sommersi. Riuscire a capire che bisogna dare al Sud una prospettiva di sviluppo concreta, senza chiudersi dietro slogan ed ideologie, è un passaggio che ancora la sinistra non riesce a fare. Eppure i segnali forti che sono venuti dal Sud, compreso il successo dei Cinque Stelle, dovrebbe aver dato segnali importanti, che sembrano non essere stati colti, se le posizioni rimangono vecchie e stantie.


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