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L’Italia investe meno del resto di Europa nell’istruzione, ma è il Sud che deve fare i conti con risorse inadeguate che costringono i sindaci a tagliare i servizi agli studenti (trasporto, mense, buoni libro, servizi) creando una disparità rispetto al Nord.

Se il Comune di Milano nel proprio bilancio riesce a trovare risorse per 206.5 euro pro capite all’anno e Bologna poco meno (204,3 euro), la prima città del Mezzogiorno è Bari, undicesima tra i Comuni con almeno 200mila abitanti, con appena 82,37 euro.

A Napoli la somma per ogni studente è di 51,97 euro, a Messina 42,18 euro pro capite. Sono i dati che emergono da uno studio di Openpolis e che confermano il gap tra le due Italie che si è formato negli ultimi 20 anni per via di un sottofinanziamento dei Comuni e Regioni del Sud. In Italia, solo l’8,2% della spesa pubblica va al capitolo “istruzione”, un “dato inferiore di due punti percentuali rispetto alla media dei paesi Ue (10,2%)”, evidenzia Openpolis.

I maggiori livelli di spesa si registrano in Estonia (15,8%), Lettonia (15,1%), Malta (14,2%) e Svezia (13,8%). Scuola e formazione sono oggetto di un’intera missione contenuta nei bilanci comunali: “Istruzione e diritto allo studio”.

“Dentro questo capitolo – spiega Openpolis – ci sono diverse voci di spesa, che riguardano l’istruzione pre-scolastica (la scuola dell’infanzia), primaria, secondaria inferiore e superiore, oltre che universitaria. Inoltre in questa missione vengono ricompresi i servizi ausiliari all’istruzione (come il trasporto, gli alloggi, le mense o le sperimentazioni didattiche) e le politiche per il diritto allo studio, come borse di studio, sovvenzioni, prestiti, buoni libro e indennizzi”.

Per ogni livello di istruzione vengono inserite le spese relative al funzionamento, gestione e manutenzione delle strutture sul territorio, compresi gli interventi di edilizia scolastica di competenza del comune, ma anche gli investimenti nella formazione del personale. In questa parte del bilancio non vengono considerate le spese per gli asili nido, comprese nella voce di bilancio “Interventi per l’infanzia e per i minori”.

Cosa emerge dalla ricerca di Openpolis? Che in una Italia che già investe poco nell’istruzione dei suoi figli, c’è un’area che non può permettersi di supportare adeguatamente il percorso di formazione dei più giovani, dalle scuole elementari sino all’università. Milano è il comune che può spendere di più per istruzione e diritto allo studio (206,05 euro pro capite), tra le città con più di 200mila abitanti.

Seguono Bologna (204,3), Verona (171,57), Trieste (159,89) e Firenze (159,5). Per trovare la prima città del Mezzogiorno bisogna scorrere la graduatoria sino all’undicesimo posto, dove troviamo Bari, la “prima” al Sud con 83,27 euro pro capite. Napoli (51,97) e Messina (42,18) sono ancora più staccate. Un divario consistente che genera una disparità di trattamento: lo studente di Bari o Napoli o Reggio Calabria avrà meno servizi ad accompagnarlo nella fase di formazione rispetto ad un alunno di Milano o Torino.

D’altronde, se la Regione Lombardia, solo nel 2019, è riuscita a stanziare 420 milioni per garantire il diritto allo studio dei suoi giovani, mentre la Puglia – sfavorita da minori trasferimenti statali e da una ripartizione iniqua del fondo nazionale, basato ancora sulla spesa storica – per le sue scuole e le sue Università non è andata oltre i 32 milioni, il risultato nei Comuni non può essere diverso. Istruzione, politiche per i giovani e trasporti non sono la “magna pars” dei bilanci regionali (la sanità la fa sempre da padrone), ma sono comunque servizi essenziali e segnalano, ancora una volta, un importante gap tra Nord e Sud.

Se la quota pugliese per l’istruzione è di 32 milioni, quella dell’Emilia Romagna è quasi il doppio: 60 milioni. Risultato? Al Sud si riescono a finanziare meno borse di studio e si devono fare i conti con un personale numericamente inadeguato. Basti pensare che nelle scuole del Nord ogni professore, mediamente, insegna a 10 studenti; al Sud, invece per ogni docente ci sono 13,5 alunni. Nel Mezzogiorno le scuole pubbliche – di ogni grado e livello – sono 2.528, il personale docente è pari a 231.051: in sostanza, in ogni istituto scolastico, mediamente, sono impiegati 91 insegnanti.

Al Nord, invece, le scuole sono 3.266 e i professori 356.100: risultato, in ogni istituto lavorano circa 109 docenti. Le Regioni del Mezzogiorno, nel 2016, secondo i calcoli di OpenCivitas, per il capitolo “istruzione” hanno registrato uno scarto negativo tra spesa storica e spesa standard del 30,89%. Diversamente, il Nord ha potuto investire il 9% in più rispetto al reale fabbisogno.

Insomma, da una parte c’è un’area dell’Italia (il Nord) che riesce ad incassare maggiori trasferimenti statali e, di conseguenza, può spendere e spandere, offrendo ai propri cittadini servizi efficienti e superiori alla media; dall’altra parte, c’è un’altra zona del Paese (il Sud) che riceve meno soldi da Roma e deve fare le nozze con i fichi secchi.

Stesso problema si riscontra anche sul finanziamento degli asili nido: a Trieste, nel 2019, la spesa pro capite per asili e servizi per l’infanzia è stata di 185,96 euro, a Firenze 127,23 euro, a Bologna 122.53 euro a Milano di 115,94 euro.

Per trovare la prima città del Sud con almeno 200mila abitanti bisogna scorrere la “classifica” sino all’undicesimo posto, dove c’è sempre Bari con i suoi 72,75 euro di spesa pro capite, segue Napoli con appena 36,22 euro, poi Messina con 3,95 euro. Tra Trieste e Messina c’è una differenza di circa 182 euro, una sperequazione figlia di una iniqua ripartizione delle risorse statali tra i Comuni italiani.

Il Consiglio europeo, già nel 2002, stabilì gli obiettivi per la diffusione e la crescita degli asili nido pubblici: gli Stati devono impegnarsi ad offrire servizi ad almeno il 33% di bambini sotto i 3 anni. Al Sud, dove le risorse finanziarie scarseggiano, il target è quasi ovunque disatteso.

Nella provincia di Reggio Calabria, ad esempio, i posti pubblici sono 312 su un totale di 1.514, il 20,6%; va peggio nel Casertano, dove su un totale di 1.512 posti, quelli pubblici sono soltanto 217 (14.4%); situazione simile nel Foggiano, con 513 posti pubblici su 2.062 (24,9%).

Numeri ben lontani dalla “ricca” provincia di Modena, dove i posti totale negli asili sono ben 6.273 e di questi quelli pubblici sono 4.967 (79,2%); nel territorio di Bologna i posti negli asili nido sono 10.401, quelli pubblici 7.991.


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