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Il record spetta alla Lombardia, dove le società partecipate accumulano debiti per 26,5 miliardi. Sul podio altre due regioni del Nord: Friuli ed Emilia Romagna, rispettivamente con 12,71 e 8,89 miliardi. Una legge statale, la Madia, ha provato a mettere ordine nel settore e a ridurre i costi, obbligando le Regioni a dismettere le partecipazioni o le società stesse che producono solo passivi. Però «il processo ad oggi non si è concretizzato», bacchettano i magistrati contabili.

Nonostante i record negativi delle partecipate del Nord, il trend non accenna a cambiare. Basti pensare che, come ha evidenziato la Corte dei conti, nel 2018, solo in riferimento alle società a partecipazione maggioritaria della Regione Toscana, il risultato economico totale era negativo per circa 7 milioni di euro, quasi il doppio rispetto al 2017, quando la perdita regionale era di 3,6 milioni.

SOCIETÀ NATE PER PRODURRE DEBITI

Anziché migliorare queste società continuano a produrre quindi maggiori perdite. E a chi spiegare i continui passivi nei bilanci con una congiuntura economica sfavorevole, la Corte replica: «In molti settori, (termale, creditizio e fieristico), la crisi assume un carattere strutturale e non congiunturale».

In Italia queste società sono 7.090 (5.766 attive) e danno lavoro a 327.807 persone, ma producono più debiti (104 miliardi) che crediti (53 miliardi). Si occupano di attività diverse (rifiuti, trasporti, acqua) e gestiscono un fiume di denaro, con risultati spesso poco lusinghieri, soprattutto al Nord Italia.
«Sul piano territoriale – scrivono i magistrati – si rileva che in quasi tutte le Regioni del Nord il fenomeno delle perdite di esercizio non interessi più di un quarto degli organismi ivi censiti, mentre nelle restanti aree il trend negativo è più diffuso (sfiorando il 40% in Calabria e in Sardegna), ma è comunque di minore impatto a livello complessivo. Guardando al profilo quantitativo, si osserva che oltre quattro quinti delle perdite sono concentrate tra gli organismi del Nord».

LE PERDITE

Le perdite di bilancio accumulate dalle partecipate che si sono “autodenunciate” al ministero dell’Economia nel 2016 sono quasi 600 milioni di euro. E le prime 12 società in profondo rosso sono quasi tutte al Nord, ben 10, mentre due sono al Centro, nessuna al Sud. Insomma, le partecipate del Nord realizzano più debiti di quelle del Sud (Campania e Sicilia con 3,87 e 3,24 miliardi sono le peggiori) e danno anche più lavoro: nei 962 organismi della Lombardia, per esempio, ci sono 59.924 dipendenti, in Emilia Romagna 557 enti danno lavoro a 30.342 persone, in Veneto ci sono 29.296 impiegati. Di contro, in Campania i dipendenti sono 16.805, in Puglia 10.199, in Calabria 4.391, in Basilicata 668. Solo la Sicilia (Regione, però, a statuto speciale) si avvicina ai numeri del Nord con 23.512 dipendenti. La Lombardia è la regione con più partecipate – 962, quasi il 17% del totale – e stacca di molto la seconda in classifica, l’Emilia, che con 557 enti copre meno del 10%. La Basilicata, con 35 partecipate chiude la classifica.

I CASI DI TOSCANA ED EMILIA

Emblematico il caso Toscana: «La situazione economico-patrimoniale di molte società partecipate dalla Toscana è particolarmente grave, in alcuni casi al punto di mettere a rischio la sopravvivenza stessa della società», si legge nella relazione della Procura della Corte dei conti che evidenzia un dato inquietante: «La spesa per le società partecipate della Toscana è in continuo aumento». E in effetti la Toscana ha trasferito nel 2018 alle controllate 137,5 milioni di euro contro i 110,1 del 2017: il 36% in più. Anche gli oneri per trasferimenti in conto esercizio lievitano: da 9,5 milioni del 2017 a 23,5 del 2018.

In Emilia Romagna, la musica non cambia. La Regione detiene 47 partecipazioni: «Secondo quanto indicato dalla relazione dei Revisori dei conti sull’esercizio finanziario 2018 – scrive la Procura della Corte dei Conti emiliana – il settore nel suo complesso (agenzie, aziende, consorzi, fondazioni e società), ha comportato per la Regione Emilia-Romagna nell’esercizio 2018 un impegno finanziario complessivo di 473,95 milioni di euro, in aumento rispetto al medesimo dato dell’esercizio 2017 (447,04 milioni di euro), importo in gran parte riconducibile a trasferimenti correnti (374,12 milioni di euro nel 2018, dato, anch’esso, in aumento rispetto all’esercizio 2017 allorquando i trasferimenti correnti furono pari ad euro 343,65 milioni di euro)».

Con la partecipazione in 12 enti e organismi partecipati, l’Emilia-Romagna detiene poi partecipazioni indirette di primo livello in altri 100 organismi di varia natura.

AFFIDAMENTO SERVIZI

Problemi con le controllate anche in Veneto. Secondo la Corte dei conti, in tutta Italia «dagli esiti della revisione straordinaria emerge che il 37,35% delle società versa in condizioni da richiedere un intervento di razionalizzazione da parte dell’ente proprietario».

Perché? Ci sono, ad esempio, società doppioni, che hanno più amministratori che dipendenti; e poi ci sono quelle “fantasma” di cui non si conoscono né bilanci né scopi, e sono oltre mille. Sono 1.701 le società che hanno meno dipendenti che amministratori: il record è del Trentino (200 su un totale regionale di 354), seguito da Lombardia (177 su 688), Veneto (89 su 368), Piemonte (88 su 320) e Sicilia (82 su 229). Andrebbero chiuse, eppure 7 su 10 sono state salvate.

Se si considera come parametro solo il fatturato, su 4.603 società, 1.922 (oltre il 40%) hanno un fatturato medio triennale inferiore a 500mila euro. Escludendo le 690 già cessate o in liquidazione, ne restano in attività 1.232 da razionalizzare: 149 in Lombardia, 86 in Piemonte, 83 in Veneto, 82 in Campania, 69 in Emilia Romagna.

Il governo Letta tentò di rimediare dando mandato all’allora commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, di fare piazza pulita delle società inutili. Cottarelli presentò un piano di ridimensionamento del numero di partecipate sino a mille e taglio del numero di consiglieri di amministrazione e dei rispettivi stipendi. Spending review, poi, mai realizzata.

Le partecipate, inoltre, sfuggono ai controlli della spesa pubblica. Il ministero del Tesoro, fotografando la modalità di affidamento dei servizi da parte di queste società, ha rilevato che nel 94% dei casi avviene direttamente e solo per un misero 6% tramite gara d’appalto. Su oltre 8.600 società censite superano quota 3.200 quelle a cui gli enti locali hanno affidato i servizi. Poiché più amministrazioni possono ricorrere alla stessa partecipata gli affidamenti alle partecipate sfiorano quota 17mila.


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