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LA “FASE 2” della discordia quella delineata dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, stretto tra la necessità di tutelare la salute pubblica in un periodo in cui il Covid 19 continua a circolare, anche se con intensità minore, e la necessità di riaccendere i motori dell’economia dopo due mesi di lockdown. Di fronte alla delusione manifestata da diverse categorie che speravano i maggiori allentamenti, ieri Conte, in visita nelle province martoriate della Lombardia, ha ribadito le ragioni delle decisioni assunte precisando che «non ci sono le condizioni per tornare alla normalità.

La fase 2 è di “convivenza” con il virus, non di “liberazione” dal virus e sarebbe stato irresponsabile avere un atteggiamento diverso, meno prudente. Il rischio è che la curva epidemiologica possa sfuggire di mano. Non possiamo mollare in questa fase».

RISCHI INCOMBENTI

Intanto, però, le categorie produttive, soprattutto quelle per le quali è prevista una riapertura ritardata rispetto al 4 maggio, lamentano gravi difficoltà per il prosieguo delle attività. E’ il caso di parrucchieri e centri estetici che non potranno riaprire prima del primo giugno. Ma anche il caso dei negozi al dettaglio, che potranno riaprire dal 18 maggio ma con mille accorgimenti per proteggere la popolazione. Saranno in molti a rinunciare, anche alla luce delle incertezze suscitate dal decreto sulla liquidità per i prestiti garantiti alle imprese. Le procedure burocratiche complesse e prolungate, molte volte denunciate anche dalle pagine di questo giornale, stanno scoraggiando una miriade di piccole imprenditori. Il rischio è che i soldi arrivino a “babbo morto”, quando già le attività hanno abbassato definitivamente la saracinesca. Quelle risorse, allora, potranno servire a pagare i debiti, ma non a far ripartire l’economia e mantenere i posti di lavoro.

Ieri il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha sottolineato i rischi per il settore e ha chiesto un incontro al premier, Giuseppe Conte. «La Fase 2 – dice Sangalli – rinvia la riapertura degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e di tante attività del turismo e dei servizi. Ogni giorno di chiusura in più produce danni gravissimi e mette a rischio imprese e lavoro. In queste condizioni diventa vitale il sostegno finanziario alle aziende con indennizzi a fondo perduto che per ora non sono ancora stati decisi. Bisogna invece   agire subito e in sicurezza per evitare il collasso economico di migliaia di imprese». Da qui la richiesta di Sangalli a Conte di «un incontro urgente, anzi urgentissimo, per discutere di due punti: riaprire prima e in sicurezza; mettere in campo indennizzi e contributi a fondo perduto a favore delle imprese».   

Sollecitazioni pressanti, in vista del “decreto di aprile” a cui il governo sta lavorando e che sarà approvato subito dopo il via libera da parte del Parlamento allo sforamento del deficit per 55 miliardi.

OPERAZIONE CDP

Per il prossimo decreto il governo ha annunciato l’intenzione di inserire ristori e indennizzi a fondo perduto per le piccole imprese, probabilmente sotto i 10 dipendenti, ma la cifra che circola, attorno a 6-7 miliardi, non sarebbe giudicata sufficiente a soddisfare le tutte le esigenze. A sostegno delle imprese, grandi e piccole, è allo studio del ministero dell’Economia anche l’operazione con Cassa Depositi e Prestiti: un finanziamento tra 40 e 50 miliardi da utilizzare per costituire un fondo equity per soccorrere le aziende in difficoltà per la crisi del coronavirus (quindi non per quelle attività che avevano bilanci dissestati prima dell’epidemia). Il fondo entrerebbe nel capitale per un periodo tra 3 e 4 anni e assicurerebbe una importante iniezione di liquidità. Ma avanza un’altra ipotesi di lavoro che si affiancherebbe a quella del Mef che coinvolge Cdp.

Ne ha parlato il vice ministro allo Sviluppo economico, Stefano Buffagni (forse in competizione con l’Economia?). Si tratterebbe di un fondo definito “CoronaEquity” che aiuterebbe le piccole imprese a ricapitalizzarsi. In sostanza, se un imprenditore intende procedere a un aumento di capitale, lo Stato glielo potrebbe raddoppiare diventando “azionista di supporto” per poi uscire dal capitale dopo qualche anno.


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