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CI SONO materie nelle quali si manifesta con immediatezza il funzionamento delle istituzioni e la loro efficienza. La sicurezza, la sanità e la scuola, per fare alcuni esempi, non offrono solamente servizi alla comunità, destinati a soddisfare bisogni collettivi e percepiti in modo solo indiretto dai singoli cittadini, ma offrono anche servizi individuali, prestazioni rese alle persone, che possono apprezzarne direttamente l’utilità e l’idoneità a soddisfare adeguatamente i loro bisogni. Alla disciplina, alla gestione e all’erogazione di questi sevizi pubblici concorrono diversi livelli di governo e della pubblica amministrazione. Se vengono coinvolte competenze di più amministrazioni , il risultato finale, vale a dire la qualità e quantità del servizio erogato, dipende in buona misura dal coordinamento e dal corretto e complementare funzionamento di ciascuna istituzione.

LA LEALE COLLABORAZIONE

Prima ancora di esprimere in modo semplice un principio di organizzazione, queste osservazioni rispondono al comune buon senso, e di esse vi è traccia nello stesso testo della costituzione. La solidarietà politica, economica e sociale, che la costituzione qualifica come inderogabile nel collocarla accanto ai diritti inviolabili, non riguarda solamente gli individui, coinvolge le formazioni sociali e, a maggior ragione, le istituzioni.

L’organizzazione dei pubblici uffici «in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione» riguarda questa nel suo complesso, quale che sia il livello di governo al quale ciascuna di esse si riferisce. Il buon andamento risiede anche nell’esercizio complementare delle rispettive competenze e nella cooperazione tra le amministrazioni statale, regionale e degli enti locali. Il principio di leale collaborazione, espressamente enunciato nel regolare i rapporti tra Stato e Regioni, consente di far convergere l’esercizio delle rispettive competenze.

In attuazione del principio di sussidiarietà, la supremazia statale consente al Governo di sostituirsi agli organi delle Regioni in caso di pericolo grave per la incolumità e la sicurezza pubblica o quando lo richiede l’unità giuridica e la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie e sociali. Questo disegno tendenzialmente armonico nel rapporto tra istituzioni e nel funzionamento di ciascuna di esse, mostra vistose crepe nell’esperienza determinata dalla situazione di emergenza determinata dall’epidemia. Mentre la novità e la gravità dei problemi accentua l’esigenza di chiarezza e di unità negli indirizzi, e richiede azioni convergenti e complementari dei diversi centri di decisione politica e di gestione amministrativa, l’esperienza che si va facendo mostra, invece, che non è così nei rapporti tra Stato e Regioni e nel funzionamento della stessa amministrazione centrale.

I CONTRASTI

L’esistenza di conflitti tra Stato e Regioni e le reciproche invasioni di campo non sono una novità. Del resto la stessa costituzione ne ha previsto la soluzione, affidandola alla Corte costituzionale, quando toccano rispettive competenze costituzionali. Si dovrebbe trattare di situazioni patologiche ed eccezionali, in parte dovute a incertezze nel delimitare le materie di competenza statale e regionale, che hanno origine nella riforma costituzionale del 2001. Le vicende più recenti che hanno contrassegnato l’adozione di provvedimenti relativi all’epidemia mostrano, invece, una diffusa conflittualità e una permanente polemica tra Governo e presidenti di Regione.

Non sono mancate polemiche nella competenza a disporre limitazioni alla circolazione o la chiusura di alcune aree colpite da vistosi focolai epidemici, con rimpallo di responsabilità anche in sede penale; nella chiusura o apertura di attività produttive, commerciali o di pubblici esercizi; nell’annuncio di controlli, sanitari e non all’ingresso in Regioni. Si potrebbe continuare nell’elencazione. Ricorsi presentati ai Tribunali amministrativi per l’annullamento di provvedimenti adottati tendono a rimettere alla giurisdizione la soluzione di conflitti politici, i quali manifestano il venir meno dell’unità di azione e della coesione tra istituzioni necessaria in situazioni di emergenza.

LA COMPETIZIONE

Tutto questo manifesta divisioni nelle istituzioni che rispecchiano divisioni nel Paese o si riverberano in esso, e comunque determinano incertezze nella stabilità di ogni decisione politica, sia pure la più urgente, e nella autorevolezza delle istituzioni. Neppur mancano le incertezze nell’azione di amministrazioni che pure fanno capo a un unico livello istituzionale. Ne è esempio evidente l’andamento delle attività scolastiche. L’impegno in un settore essenziale per la formazione delle nuove generazioni sembra esaurirsi nelle polemiche sulle forniture di banchi scolastici e di mascherine. Questione che, anche nella straordinarietà della situazione, dovrebbe essere risolta dalla ordinaria attività della amministrazione.

C’è da chiedersi se un Paese così diviso e impantanato nella soluzione dei problemi sarà in grado di affrontare efficacemente l’emergenza economica e sociale che ci lascerà l’auspicabile fine dell’emergenza sanitaria. Non si tratta di limitare la competizione tra le diverse forze politiche, e la diversità di visioni che esse possono e devono avere. Tuttavia non vorremmo che la competizione si esprima in una rivendicazione di potere ed in un rifiuto di responsabilità. Come pure è da evitare che la competizione si esaurisca, senza coordinata capacità progettuale in una visione quanto meno di medio periodo, nel miraggio di gestire gli ingenti fondi che potrà rendere disponibili l’Unione europea.

* Presidente emerito della Corte costituzionale


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