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Il premier Conte in videocollegamento con Ursula von der Leyen e David Sassoli

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Centonovantesei miliardi distribuiti su sei missioni cui l’Italia, nelle parole del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, affidata il compito di «recuperare il terreno perduto con la crisi pandemica» e «voltare pagina rispetto al passato»: sono i numeri della bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza posta sul tavolo di un Consiglio dei ministri andato avanti fra tensioni tra le forze di maggioranza, rinvii e sospensioni, per concludersi dopo la notizia della positività al Covid del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che ha lasciato la riunione. Il via libera – probabilmente “virtuale” – al piano è atteso quindi per oggi.

Centoventicinque pagine, tanti titoli e quasi nessun progetto concreto. E soprattutto del Sud, che del piano doveva essere l’architrave, non c’è quasi traccia. Anzi, il “giallo” sulla quota delle risorse da destinare alle regioni del Mezzogiorno che diverge tra la prima e la seconda bozza del piano circolate tradisce il fatto che la volontà di quel cambio di passo chiesto dalla Commissione europea in termini di coesione territoriale e risanamento della frattura territoriale tra il Nord e il Sud del Paese non c’è. O almeno non è condivisa da tutti.

E infatti nella prima versione del capitolo sulla “Valutazione d’impatto delle misure per il Sud nel Pnrr e nel Ddl di Bilancio” si destina” al Sud una quota di risorse per Recovery Plan pari al 30% – “circa il 30 per cento dei fondi additivi (circa 33 miliardi complessivi), vi si legge – che nella seconda, dopo un evidente braccio di ferro al tavolo dei ministri, passano al 34%.

A queste risorse dovrebbero poi aggiungersene altre (le cifre combaciano nelle due versioni): 23,2 miliardi del Fondo di sviluppo e coesione tra il 2021 e il 2026, i 9 miliardi di perequazione infrastrutturale e recupero spesa ordinaria (clausola 34%) e decontribuzione del 30% sul costo del lavoro per le regioni meridionali finanziate con il React Eu. Per un conto che dovrebbe arrivare a una cifra complessiva di cento miliardi. Sulla carta, ovviamente.

Intanto, tra le sei missioni su cui il governo intende impiegare le risorse del Next Generation Eu, alla “Rivoluzione verde e transizione digitale” va la parte più cospicua delle risorse, 74,3 miliardi (37,9%); alla “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” sono destinati 48,7 miliardi (24,9%); 27,7 miliardi (14,1%) per le “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”; 19,2 miliardi (9,8%) per “Istruzione e ricerca”; 17,1 miliardi (8,7%) per “Parità di genere, coesione sociale e territoriale”; 9 miliardi (4,6%) alla “Salute”. Nel piano si ipotizza che circa il 60% dei fondi del Next Generation Eu venga destinato al finanziamento degli investimenti pubblici. Il resto distribuito tra incentivi alle imprese, riduzione dei contributi fiscali sul lavoro e, in misura minore, spesa pubblica corrente e trasferimenti alle famiglie. Dal punto vista delle prospettive economiche, grazie agli effetti espansivi del Piano a fine 2026 il Pil risulterebbe più alto di 2,3 punti percentuali rispetto allo scenario di base.

LE MISSIONI

I 74,3 miliardi destinati alla “rivoluzione verde” prevedono 4 piani di azione e sono distribuiti su 13 progetti. Nel capitolo compare anche l’estensione del superbonus edilizio per l’efficientamento energetico e l’adeguamento antisismico delle abitazioni private, con il quale viene riconosciuta una detrazione fiscale pari al 110%. La misura si accompagna a un piano di efficientamento degli edifici pubblici. All’efficienza energetica è dedicata oltre la metà delle risorse della missione, pari a 40,1 miliardi.

Sulla digitalizzazione l’investimento è di 48,7 miliardi su 13 progetti. In particolare, 10,1 miliardi sono destinati alla digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella pubblica amministrazione: l’obiettivo far fare alla pa italiana un “radicale salto di qualità”; 35,5 miliardi all’innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e all’internazionalizzazione; 3,1 miliardi per cultura e turismo. La missione “Infrastrutture per una mobilità sostenibile” si basa due linee d’azione per 4 progetti tra riforme e investimenti, per un ammontare complessivo di 27,7 miliardi. L’alta velocità di rete e la manutenzione stradale assorbono 23,6 miliardi, 4,1 l’intermodalità e la logistica. In particolare, per il Nord si prevede il potenziamento delle tratte ferroviarie Milano-Venezia, Verona-Brennero, Liguria-Alpi e Torino-Lione, e il miglioramento dei collegamenti con i porti di Genova e Trieste; nel Centro il potenziamento dei due assi Est-Ovest (Roma-Pescara e OrteFalconara); per il Sud il piano “progetta” di estendere l’Alta Velocità lungo le direttrici Napoli-Bari e Salerno-ReggioCalabria, velocizzando anche il collegamento diagonale da Salerno a Taranto e la linea Palermo-Catania-Messina.

Per quanto riguarda invece il capitolo “Istruzione”, i 19,2 miliardi sono suddivisi tra il “potenziamento della didattica e diritto allo studio” con 10,1 miliardi e l’obiettivo, tra le altre cose, di ridurre le disparità territoriali, l’abbandono scolastico e aumentare le competenze digitali di personale e studenti; mentre 9,1 miliardi sono poi destinati ad innalzare il potenziale di crescita del sistema economico, agendo in maniera sistemica sulla leva degli investimenti in R&S. Dei 17,1 miliardi del capitolo dedicato alla parità di genere e coesione territoriale, 4,2 miliardi sono destinati al potenziamento degli asili nido, alle politiche sociali a sostegno delle lavoratrici e all’aumento dell’occupazione; con 3,2 miliardi si punta a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e rafforzare le politiche attive; 5,9 vengono dedicati al tema della “vulnerabilità, inclusione sociale, sport e terzo settore”; mentre alla coesione territoriale sono riservati 3,8 miliardi per, tra le altre cose, la costituzione di poli tecnologici di eccellenza e dei relativi “ecosistemi dell’innovazione”, finanziare il piano per le aree colpite dai terremoti del 2009 e 2016 e la resilienza delle aree interne e montane. Per quanto riguarda infine il capitolo sanità, sono previsti 4,8 miliardi per l’assistenza di prossimità e la telemedicina e 4,2 miliardi per l’innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria. Tra le riforme previste nel piano, la riforma fiscale finalizzata ridurre la pressione fiscale sui redditi medi e medio-bassi, ovvero sui lavoratori, sia dipendenti sia autonomi, che guadagnano tra 40 e 60 mila euro.


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