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La protesta dei ristoratori sull'A1

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Autostrade e tangenziali bloccate, rabbia, striscioni, città paralizzate: da Bari a Bologna, ieri è andata in scena la rabbia di ristoratori, commercianti, fieristi che, ormai, sono esasperati dalle chiusure e dagli affari ai minimi storici.

 «Adesso basta», recitava lo striscione esposto da un centinaio di manifestanti sull’autostrada A1, in provincia di Bologna, nell’area di servizio Cantagallo. Il gruppo, che si è definito «senza insegne politiche e di associazioni», ha provato a mettere in atto un gesto plateale ma l’obiettivo è parzialmente fallito per l’intervento delle forze dell’ordine. Non è riuscito, infatti, il blocco dell’autostrada A1.

LE PROTESTE

«È una decisione estrema, sappiamo quello che rischiamo, è un reato, ma se siamo arrivati a questo punto e siamo disposti a mettere in gioco la nostra vita e la nostra tranquillità è perché ormai non abbiamo più nulla da perdere», ha detto uno dei portavoce della protesta, l’ex 5 Stelle Giovanni Favia.

«Non siamo antagonisti, siamo piccoli imprenditori, padri di famiglia. Siamo qui e lottiamo per il nostro lavoro, dopo anni di sacrifici. Siamo disperati» ha detto al megafono. La manifestazione si è conclusa con un breve corteo di auto: i partecipanti hanno percorso un tratto di autostrada alla velocità di circa 50 km/h, suonando i clacson tutti insieme, e sono usciti al casello di Sasso Marconi Sud, controllati dalle forze dell’ordine.

A Bari, invece, il blocco è riuscito: centinaia di ambulanti e ristoratori hanno manifestato sulla statale 16, all’altezza dello svincolo per il quartiere Poggiofranco, bloccando la circolazione sulla tangenziale del capoluogo pugliese in direzione Sud. A dare vita alla protesta, oltre ai ristoratori, anche i lavoratori di fiere, sagre e feste patronali che protestano per «ristori da miseria dopo un anno di stop alle attività» a causa dell’emergenza pandemica. «Ci sentiamo ormai allo stremo – hanno spiegato con i megafoni accesi – Non sappiamo più cosa fare per farci ascoltare, ci danno miserie, da un anno non ci fanno lavorare e ancora non c’è un piano per ripartire. Da ottobre avevamo chiesto un lockdown solidale per abbassare la curva dei contagi e permetterci poi di ripartire e tornare a lavorare».

«Le regole andrebbero sempre rispettate, certo c’è molta preoccupazione in alcune categorie, c’è disperazione», ha ammesso il presidente della Regione Emilia-Romagna e della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini.

«Di solito sono io, il sindaco, a far fronte a proteste come questa. Ma cosa posso dire ai miei concittadini se le misure decise devo leggerle sui giornali? Dovrei rispondere “rivolgetevi al governo?”. Io sinceramente non so cosa dire. Perfino della riapertura degli asili nido, che sono gestiti dai Comuni, l’ho scoperto dalle agenzie di stampa – ha detto rammaricato il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro – Il prolungarsi delle chiusure deve essere spiegato e giustificato a cittadini comprensibilmente provati anche perché i ristori del decreto Sostegni non sono ancora arrivati»,

LE PERDITE

Perdite tra l’80% e il 95% del fatturato. Dipendenti lasciati a casa. Affitti e costi ingestibili. I ristoratori, e non solo loro, sono allo stremo e centinaia di attività sono ormai sull’orlo della chiusura definitiva. Basti pensare che, solo nel 2020, secondo i calcoli Fipe, sono stati registrati 37,7 miliardi di euro di perdite, circa il 40% dell’intero fatturato annuo del settore andato in fumo.

Storicamente, nel periodo delle festività natalizie per una parte rilevante dei locali si arriva a generare fino al 20% del fatturato annuo: nel quarto trimestre 2020, invece, le perdite registrate hanno superato i 14 miliardi di euro, con un meno 57,1% dei ricavi, peggio ancora di quello che era successo nel secondo trimestre, quello del primo lockdown.

Le grandi città, e in particolare le città d’arte, dove ha pesato di più l’assenza del turismo internazionale, non hanno invece beneficiato nemmeno della tregua estiva, registrando perdite complessivamente superiori all’80%.

I ristori? Poca roba, in alcuni casi nemmeno sufficienti a coprire i costi fissi: bollette e affitto.

LE RICHIESTE

«Riaprire subito i mercati in zona rossa con la possibilità di vendere i generi di prima necessità, ristori immediati per i giorni di effettiva chiusura e cancellazione della Cosap per tutto il 2021»: sono le richieste degli operatori ambulanti emiliano-romagnoli inviate al governo Draghi con un documento sottoscritto da Anva-Confesercenti Emilia-Romagna. Secondo le stime di Coldiretti, con le misure anti Covid previste dall’ultimo decreto per tutto aprile, salgono a 1,1 milioni di tonnellate i cibi e i vini invenduti da inizio pandemia per il crollo delle attività di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi che travolge a valanga interi settori dell’agroalimentare italiano. Un intero settore economico e produttivo sta crollando e rischia di trascinare con sé i mercati strettamente collegati.


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