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In Italia ci sono sempre meno banche e meno sportelli. Un segnale che al Nord può essere un indice di efficienza. Nel mezzogiorno, invece, accresce le difficoltà di accesso al credito da parte di imprese e famiglie. E senza un tessuto finanziario robusto è complicato fare sviluppo. Non a caso il declino del sud è diventato inarrestabile dopo la scomparsa di grandi istituzioni come Banco di Sicilia e Banco di Napoli. 

A scattare la fotografia è un Rapporto preparato dalla Fondazione per la sussidiarietà guidata da Giorgio Vittadini. Emerge che in dieci anni sono sparite quasi diecimila agenzie: da 34.036 nel 2010 a 24.312 del 2020, circa il 30% in meno. La media nazionale è di 40 sportelli ogni centomila abitanti con una forte disparità geografica. Tutte le regioni meridionali stanno sotto l’indice nazionale: venti in Calabria, ventidue in Campania e 25 in Sicilia.  Si sale in Puglia (27), Sardegna e Molise (33), Basilicata (36).  Opposta la situazione nel centro-nord. Tutte le regioni, ad eccezione del Lazio (35), e Abruzzo (40) stanno sopra la media italiana di 40 agenzie per centomila abitanti. Si parte dalla Liguria (44) fino a record del Trentino (70).

La classifica per province testimonia del deserto creditizio: in cima Reggio Calabria, Vibo Valentia e Caserta, con appena 17 filiali ogni 100.000 abitanti. Napoli si ferma a 20: metà della media nazionale.  La densità maggiore si registra a Trento (76), Cuneo (72) e Sondrio (71). %). «Il digitale, la concorrenza e la sfida della sostenibilità stanno rivoluzionando le banche e le relazioni con i clienti», osserva Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione. La strada da fare sulla via dell’innovazione è tantissima considerando che la diffusione dell’home- banking in Italia è ancora limitato: sia a causa della scarsa dimestichezza con la tecnologia sia per la carenza delle connessioni. La percentuale dei clienti che usano il digitale è passata in dieci anni dal 18 al 35%. Uno “share” che, pur raddoppiato, resta lontanissimo dalla media europea del 58%. «In Italia le banche hanno storicamente privilegiato le aree più sviluppate, con maggiore presenza di imprese e clienti ad alto reddito», dice Luca Erzegovesi, docente all’Università di Trento, uno dei curatori del Rapporto. Le difficoltà di accesso al credito per le aree meridionali, aggiunge lo studio, crescono per via dell’avanzare del “risiko” bancario: a fine 2019 i primi cinque istituti di credito controllavano circa il 47% delle attività totali.  La concentrazione come sempre distorce il mercato. Una ricerca del centro studi di Unimpresa ipotizza l’esistenza di un cartello per tenere alti i tassi: «L’analisi dettagliata dei principali gruppi bancari italiani conferma che il divario di tassi tra gli istituti di credito sia estremamente contenuti» osserva Salvo Politino, vice presidente dell’associazione.  Un danno enorme per il sud che non conosce finanza d’impresa. Oggi come oggi, la realtà è drammatica: «Impossibile trovare un Fondo immobiliare che investa a Sud di Roma», dice Carlo Borgomeo, Presidente della Fondazione con il Sud.  L’osservazione vale per ogni altro canale diverso dallo sportello.

«C’è molto da lavorare – aggiunge – per mettere il Mezzogiorno nei circuiti finanziari serve un maggiore coinvolgimento anche dei soggetti non profit nel farsi parte attiva nelle questioni finanziarie. A sostegno delle realtà imprenditoriali del territorio, duramente provate dalla pandemia, si sono mosse le Bcc. Non a caso – sottolinea il presidente della Federazione Campana, Amedeo Manzo, il credito cooperativo è passato a livello nazionale dall’8% al 15%».

Ed è proprio sullo sviluppo delle banche del territorio che insiste Giuseppe De Lucia Lumeno, segretario di Assopopolari. Ricorda che il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz nel 2020 in “Riscrivere l’economia europea” «ha dimostrato come banche di comunità e di territorio, banche popolari e cooperative, rappresentano una importante fonte di finanziamento per le imprese minori grazie soprattutto alla relazione più stretta con la clientela».


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