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Un incontro tra i presidenti delle Regioni dello scorso ottobre

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PER IL trasporto pubblico locale la Puglia ha investito molto nel 2019, anno prima dell’irruzione del Coronavirus: 182 milioni, soldi impiegati soprattutto per rinnovare uno dei parchi mezzi più vetusto d’Italia, con l’acquisto di oltre 500 bus. Ma pensate cosa avrebbe potuto realizzare se la giunta Emiliano avesse potuto contare sui 304 milioni dell’Emilia Romagna.

Nel corso degli ultimi 15 anni c’è chi ha ricevuto fette più importanti del riparto del fondo nazionale destinato al Tpl e chi ha dovuto fare le nozze con i fichi secchi. Basta dare uno sguardo ai bilanci delle Regioni: se la Campania (5,8 milioni di residenti) può spendere 700 milioni di euro per migliorare una complicata mobilità interna perché di più non riceve dai trasferimenti statali, il Veneto (4,9 milioni di abitanti) stanzia 860 milioni e il Piemonte (4,3 milioni) 750 milioni, quindi cifre decisamente superiori per una platea di utenti inferiore. La Puglia (4,1 milioni di residenti) per alla voce “Trasporti e infrastrutture” ha potuto mettere in bilancio 499 milioni nel 2019, l’Emilia Romagna (popolazione quasi identica, 4,4 milioni) ha impegnato una somma ben più corposa, 646 milioni. Eppure i risultati dell’ultimo anno, quello della pandemia Covid, non sono lusinghieri: i bus e i treni hanno fatto da “vettore” del virus come dimostrato dagli accertamenti dei Nas.

Il governo Draghi ha stanziato per il 2021 altri 800 milioni per sostenere il settore del trasporto pubblico locale e regionale, le risorse sono destinate a compensare parte della flessione dei ricavi dovuta al calo di passeggeri subito dalle imprese del Tpl. La Puglia, più in generale, nel 2016, per garantire agli oltre 4 milioni di cittadini i servizi di istruzione, asili nido, polizia locale, pubblica amministrazione, viabilità e rifiuti, ha potuto 2,22 miliardi ma avrebbe avuto bisogno di 2,32 miliardi, circa 100 milioni in più. In sostanza, la Puglia – avendo ottenuto trasferimenti statali inferiori rispetto al reale fabbisogno finanziario – ha dovuto stringere la cinghia, mentre il Piemonte nonostante un fabbisogno reale di 2,74 miliardi ne ha spesi 2,81, cioè 70 milioni in più.

È quanto emerge consultando il database di OpenCivitas, il portale di accesso alle informazioni degli enti locali, un’iniziativa di trasparenza promossa dal ministero dell’Economia e delle Finanze. Il portale permette di confrontare due o più enti (Comuni, Province o Regioni) per effettuare un benchmarking rispetto ai livelli di spesa sostenuta e ai servizi erogati per le funzioni analizzate.

I servizi che possono essere paragonati sono sei: costo della macchina amministrativa, spesa per la polizia locale, l’istruzione, la viabilità, la gestione dei rifiuti e per gli asili nido. Confrontando la spesa storica con la spesa standard (il reale fabbisogno finanziario di un ente) emerge che il Nord spende più del suo reale fabbisogno, potendo contare su maggiori trasferimenti statali.

Ecco qualche esempio: le Regioni del Mezzogiorno, nel 2016, per tutti i servizi elencati hanno sopportato un costo complessivo di 7,90 miliardi (spesa storica), ma avrebbero avuto bisogno, secondo i calcoli di OpenCivitas, di almeno 8,18 miliardi (spesa standard), uno scarto negativo del 3,43%. Le Regioni del Nord, al contrario, hanno investito complessivamente 16,42 miliardi, nonostante il fabbisogno reale fosse di 15,23 miliardi. Hanno speso di più avendo ricevuto più soldi da Roma. Se prendiamo in considerazione solamente il capitolo “istruzione”, le Regioni del Sud registrano uno scarto negativo tra spesa storica e spesa standard del 30,89%. Diversamente, il Nord ha potuto investire il 9% in più rispetto al reale fabbisogno.

Anche per finanziare la rete degli asili nido il Mezzogiorno ha dovuto fare i salti mortali: infatti, rispetto al reale fabbisogno, le Regioni hanno ottenuto trasferimenti inferiori dell’8,46%, mentre il Nord-Ovest ha speso l’8,25% in più rispetto alle esigenze. Se le Regioni del Mezzogiorno per l’istruzione possono spendere per ogni loro ragazzo 42 euro, quelle del Nord hanno a disposizione più del doppio: circa 92 euro pro capite.

E mentre nella gestione dei vaccini in Lombardia si susseguono errori, è utile ricordare che la stessa regione, dal 2017 al 2018, ha visto aumentare la sua quota del riparto del fondo sanitario dell’1,07%, contro lo 0,75% della Calabria, lo 0,42% della Basilicata o lo 0,45% del Molise. Lo stesso Veneto nel 2018, rispetto al 2017, ha ricevuto da Roma lo 0,87% in più. Dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, per sei regioni del Nord la quota è lievitata del 2,36%; mentre altrettante regioni del Sud, già penalizzate perché beneficiare di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno aumentato la loro parte solo dell’1,75%.


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