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Il porto di Termoli nella Zes adriatica

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A distanza di quattro anni dal varo della normativa sulle Zes manifatturiere sembra che queste grandi risultati non abbiano prodotto. Le Zone Economiche Speciali sono state introdotte nell’ordinamento giuridico italiano dal decreto- legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno (meglio conosciuto, semplicemente, come “Decreto Mezzogiorno”).

Certamente non si hanno molti dati su quanti investimenti siano arrivati, se sono state realizzate fabbriche nelle aree prescelte, se vi sia stato un qualche aumento dell’occupazione.

È vero che siamo ancora in piena pandemia e che tutti i progetti hanno avuto un ritardo prevedibile. Ma la sensazione è che malgrado esse siano l’unica speranza per quell’accelerazione del processo di sviluppo necessario per la creazione di quei nuovi posti di lavoro Indispensabili per evitare che continui il processo di spopolamento, che riguarda tali territori, l’attenzione rispetto a tale strumento sia estremamente limitata.

I ritardi si sono accumulati sia nella fase della individuazione delle aree, sia in quella del completamento della normativa che consentisse di farle funzionare, sia nel controllo rispetto agli organi regionali dei passaggi indispensabili.

Il risultato è che l’attenzione per tali strumenti sembra essere assolutamente limitata, sia a livello centrale che a livello periferico. Il ministero del Sud pare si occupi poco di monitorare i successivi passaggi devoluti agli organi regionali, perché il processo di attrazione di investimenti dall’esterno dell’area si attui. D’altra parte non mi pare che si sia costituita una Task Force per costruire quel meccanismo di ricerca degli investimenti, che certo da soli è difficile che arrivino.

Peraltro il nostro è un Paese che ha molte difficoltà in termini burocratici, ma non solo, ancora non superate e che spesso fa paura a chi avesse anche tutte le buone intenzioni di volervi insediare i propri investimenti. Problematiche che dovevano essere risolte proprio con le Zes e che invece rimangono ancora tutte intere nella loro dimensione.

È vero anche che alcune delle condizioni necessarie, come l ‘infrastrutturazione dei territori o il controllo della criminalità organizzata, sono talmente complesse da attuare che, senza uno specifico piano ed una volontà molto determinata, è complicato che le Zes partano.

Anche le regioni da parte loro non fanno nulla per accelerare il processo ed il motivo è molto semplice. Se favorisci le imprese esistenti nel territorio hai possibilità che qualcuno ti sia grato e che vi sia un certo consenso di indirizzo sull’attore dei provvedimenti. Cosa diversa se invece arrivano grandi investitori che certamente non contratteranno con il politico locale eventuali condizioni di insediamento, relativamente per esempio all’assunzione di personale. Per cui nessuno scambio é possibile e l’unico obiettivo che si raggiungerebbe é quello del bene comune, dell’aumento dell’occupazione, che certamente aiuta il territorio a crescere, ma che non dà alcun vantaggio a chi dovrebbe accelerare il processo di attrazione delle Zes.

E poiché la realtà meridionale é caratterizzata da una classe dominante estrattiva, che poco interesse ha per il bene comune, tali strumenti in realtà, oltre che ampliati nelle loro dimensioni in termini di ettari, per consentire a più aziende locali possibili di essere parte degli eventuali vantaggi, in realtà poi non trovano veri sostenitori.

Anche gli eventuali vantaggi, che dovevano essere riservati a tali aree, sono state per lo stesso motivo ampliate a tutto il territorio meridionale, come é avvenuto con il cuneo fiscale, redendo lo strumento estremamente costoso oltre che poco incentivante per le aree prescelte , considerato che é applicabile in tutto il territorio.

Insomma la sensazione é di uno strumento al quale non crede nessuno, meglio che pochi conoscono e che sembra abbandonato in un binario morto. Poi magari diremo che le Zes non sono uno strumento adatto alle problematiche del Mezzogiorno. Mentre invece sono abbandonati alla buona volontà dei commissari che man mano si vanno nominando.

D’altra parte sta accadendo quello che é sempre succeduto con i singoli strumenti ideati per il Mezzogiorno, che non hanno mai costituito sistema complessivamente gestito, ma soltanto attrezzi singoli che evidentemente da soli hanno poca possibilità di produrre i risultati attesi.

Adesso che fare? La ministra Mara Carfagna potrebbe avere un’occasione importante per ottenere risultati consistenti in termini di aumento degli investimenti e contemporaneamente dell’occupazione nelle aree meridionali e, dall’aumento di risorse che ha voluto destinare a tali aree, sembrerebbe che ha la convinzione che possano essere utili.

Mentre la discussione verte sempre di più sulle risorse che vengono destinate al Mezzogiorno forse bisognerebbe aggiungere a tale goal perseguito anche quello di far funzionare gli strumenti esistenti, senza volersi inventare normative innovative ma cercando di completare l’attuazione di strumenti che in altri paesi hanno dato risultati brillanti.


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