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La sede del Monte dei Paschi di Siena

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di NINO SUNSERI
La privatizzazione resta l’inevitabile conclusione della parabola Mps dopo lo stop all’acquisizione da parte di Unicredit. Un punto di arrivo che prevede l’uscita del Tesoro dal capitale in tempi abbastanza brevi. Per definire il percorso è iniziata una trattativa certamente non semplice con Bruxelles. Lo scopo è quello di ottenere la una proroga al termine del 31 dicembre che il governo Gentiloni, nel 2017 aveva fissato come scadenza per la privatizzazione. Il rinvio dovrà passare attraverso un nuovo piano che avrà come elemento centrale l’inevitabile ricapitalizzazione a carico dello Stato.
A delineare il futuro prossimo del gruppo toscano è stato in Parlamento il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera. Il braccio destro del ministro Franco ha ribadito il percorso lungo cui si muoverà il governo. Rivera ha confermato che il ministero dell’Economia «ha avviato con la Commissione Europea una interlocuzione necessaria a ottenere una proroga adeguata ma non quantificabile in termini di durata». Il finale di partita però non cambia: «La privatizzazione resta comunque il traguardo necessario». Sulla base di questa premessa «si renderà necessario procedere a un nuovo piano che si sviluppi attraverso un rafforzamento della struttura patrimoniale della banca in modo da convincere il mercato». Le misure «dovranno essere concordate con la commissione Ue, con il supporto della banca». Nessuna possibilità quindi di trasformare Mps in un nuovo soggetto a capitale pubblico o nel crocevia di un «terzo polo» secondo le speranze più o meno esplicite di molti esponenti del mondo politico. Soprattutto dal fronte Pd. «Siamo in Mps solo in funzione di un aiuto di Stato, siamo vincolati ad uscire e non è ipotizzabile una presenza pubblica indefinita del nel capitale Mps» ha precisato Rivera, che ha definito «probabile» un aumento di capitale anche se è prematuro indicarne la consistenza. Il Tesoro è pronto a «fare la sua parte, ma è fondamentale che il piano sia attrattivo in particolare per il mercato e gli investitori».
Rivera esprime «cauto ottimismo» alla luce dei risultati «importanti» conseguiti nella ristrutturazione. La proroga dovrà però essere accompagnata da «misure compensative» con cui ‘pagare’ il prolungamento del sostegno statale e il mancato conseguimenti di alcuni obiettivi a cominciare dal rapporto tra costi e ricavi (atteso al 50,6% a fine 2021 ma fermo al 74,9% a fine 2020). Mps dovrà definire un nuovo piano «che sia all’altezza». Attesa una stretta sui costi, con un aumento degli esuberi rispetto ai 2.700 previsti dalla banca, che saranno comunque «solo volontari». Smentite le indiscrezioni sull’uscita dell’ad Guido Bastianini («non mi risulta che ci siano discussioni in corso di questo tipo»), in una fase in cui i risultati sono in vistosa crescita: «sarebbe davvero un’ottima notizia se» l’utile 2021 «fosse appena sotto 1 miliardo». Al Tesoro preme che il piano sia «convincente» non solo per la Bce e la Ue ma soprattutto «per il mercato» non volendo ripetere l’esperienza del 2017, costata 5,4 miliardi di euro ai contribuenti e il sacrificio ai risparmiatori. «Lavoriamo a una soluzione di mercato» ha detto Rivera, secondo cui l’aumento, stimato in 2-2,5 miliardi, resta «necessario» anche se «è presto» per quantificarlo. Rivera ha escluso soluzioni alternative, come la costituzione di un ‘terzo polo’ pubblico con Carige e Popolare di Bari: «Siamo nella banca in virtù di un aiuto di stato che deve essere temporaneo, siamo vincolati ad uscire. L’Italia ha già una banca nazionale di promozione che è la Cdp». Quanto al negoziato con Unicredit, nonostante «il massimo impegno» profuso da entrambe le parti, è stato impossibile raggiungere una «convergenza», a causa delle distanze sull’aumento e sulla valutazione del perimetro oggetto di cessione. «La procedura è stata completamente aperta e competitiva», ha rimarcato Rivera, sottolineando come solo l’istituto guidato da Andrea Orcel si sia fatto avanti.


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