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È un dato di fatto che le liste di attesa siano un problema che attanaglia principalmente il Sud, altrimenti ogni anno 150mila meridionali non sarebbero costretti a cercare cure e assistenza negli ospedali di Veneto, Lombardia, Emilia Romagna o Toscana. Eppure, nel riparto dei 500 milioni stanziati dal governo per l’abbattimento delle liste d’attesa Covid, neanche il 40% è destinato al Sud.

La linea “maestra” imposta dall’Europa per la distribuzione dei miliardi del Pnrr è già andata persa. Al Sud, infatti, è destinato il 33,41% del fondo complessivo, tanto prevede il disegno di legge di Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024.

LE DISPARITÀ TERRITORIALI

Di questo passo, il gap Nord-Sud non verrà mai colmato, anzi, dopo la “sbornia” del Pnrr, il divario non potrà che crescere. Stando all’allegato 3 dell’articolo 94 del disegno di legge, la regione che potrà beneficiare della fetta maggiore del fondo per l’abbattimento delle liste di attesa sarà la Lombardia con il 16,78%, pari a 83,8 milioni, segue il Lazio con il 9,59% e 47.9 milioni. L’Emilia Romagna continuerà a incassare più soldi della Puglia: 37,7 milioni contro 32,8; cosi come il Piemonte, che riceverà 36,8 milioni, e il Veneto con i suoi 40,9 milioni.

Ora, è indubbio che il Covid abbia bloccato la sanità di tutta la nazione, da Nord a Sud, allungando in ogni territorio le liste di attesa. Ma il punto di partenza pre-pandemia presentava una situazione di squilibrio che l’emergenza sanitaria ha lasciato immutata. Per avere contezza di quello che era il quadro prima dell’irruzione del virus, ecco qualche dato: nel 2019, 148.452 residenti in Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Molise si sono spostati verso le regioni del Nord per curarsi. Un esodo.

Un dato choc che emerge dal “Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero” dello stesso ministero della Salute sulla base del numero dei pazienti dimessi dagli ospedali. I “viaggi della speranza” sono figli anche delle liste di attesa e hanno un doppio risvolto negativo: causano disagi a chi deve allontanarsi di casa anche di 800-900 chilometri per tutelare la propria salute; arricchiscono le casse delle Regioni settentrionali e impoveriscono quelle del Meridione, finendo così per allargare la forbice della qualità assistenziale.

Basti pensare che solamente alla Puglia, ogni anno, la mobilità passiva costa poco meno di 300 milioni. Lo abbiamo scritto ieri, la sveglia è suonata ma non tutti ancora l’hanno sentita. E’ vero che al Sud finalmente arriverà il 40% delle risorse del Piano di ripresa e resilienza, soldi mai visti da Napoli in giù. Ma è anche vero che i governatori del Mezzogiorno hanno poco da festeggiare: non basterà questa quota a ridurre il gap con il Nord, la vera “manovra” va fatta in Conferenza delle Regioni nel riparto del fondo ordinario nazionale.

Perché se è vero che anche per la sanità la Puglia dal Pnrr incasserà più soldi di Veneto ed Emilia Romagna; che la Calabria riceverà più fondi di Friuli-Venezia Giulia, Marche e Liguria; che la Campania, dopo la Lombardia, sarà la regione che otterrà la fetta maggiore nel riparto degli otto miliardi, è anche vero che da 20 anni il Mezzogiorno riceve camionate di miliardi in meno rispetto alle Regioni del Nord nella suddivisione del fondo nazionale.

Il Pnrr, quindi, non può essere un caso isolato, anche se sembra esserlo visto che persino nel 2021 alla Puglia (4,1 milioni di abitanti) su 116,29 miliardi del fondo sanitario ne sono stati riservati 7,64; l’Emilia Romagna, quasi a parità di popolazione (4,4 milioni di residenti), ha ricevuto 8,79 miliardi, 1,1 miliardi in più. Moltiplicate per 20 anni e vedrete qual è l’origine del gap. Negli ultimi 10 anni la Lombardia ha visto aumentare la propria fetta dell’11,4%, l’Emilia Romagna del 9,9%; 8,2% in più per la Toscana. La Basilicata, invece, ha avuto un incremento percentuale molto più modesto (+4,9%); l’Abruzzo del 6,7%; Calabria +5,7%; la Puglia e la Campania di circa l’8,1%.

I FONDI IN PIÙ AL NORD

Quindi, rallegrarsi per l’inversione di tendenza nel Pnrr può andar bene, a patto che il cambiamento diventi finalmente strutturale, altrimenti le differenze non saranno mai colmate. Dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, in media, del 2,36%; altrettante regioni del Sud, invece, già penalizzate perché beneficiarie di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%.

Tradotto, significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato 944 milioni in più rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Altri indicatori confermano che, ogni anno, al Nord arrivano maggiori trasferimenti da Roma destinati alla sanità: dal 2017 al 2018, ad esempio, la Lombardia ha visto aumentare la sua quota del riparto del fondo sanitario dell’1,07%, contro lo 0,75% della Calabria, lo 0,42% della Basilicata o lo 0,45% del Molise. Lo stesso Veneto nel 2018, rispetto al 2017, ha ricevuto da Roma lo 0,87% in più.


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