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ANCHE il Mezzogiorno partecipa alla ripresa in atto in Italia, ma resta tuttavia sempre un passo indietro rispetto al Centro Nord. La spinta del Pnrr è decisiva per accorciare le distanze che lo dividono dal resto del Paese, ma da sola non basta. Se è fondamentale per indurre un’accelerazione del tasso di crescita, non è sufficiente per raggiungere la convergenza. Pesa soprattutto una dinamica dei consumi “anemica” legata a una questione salariale che è sì nazionale, ma tanto più meridionale dal momento che su questi territori è più pensate il mix tra bassi salari ed eccesso di flessibilizzazione.

É il quadro messo o fuoco nel rapporto Svimez 2021 su “L’economia e la società del Mezzogiorno”, presentato ieri dal presidente e dal direttore generale, Adriano Giannola e Luca Bianchi, alla presenza, tra gli altri, della ministra per il Sud, Mara Carfagna. IL PIL Il rapporto registra intanto quella che Bianchi ha definito una “novità”: contrariamente a quanto accaduto nelle precedenti grandi crisi, infatti, il rimbalzo coinvolge l’intero territorio, anche se il Sud si mostra meno reattivo rispetto agli stimoli della domanda, principalmente legata alle esportazioni e agli investimenti nelle costruzioni.

Nelle previsioni della Svimez, infatti, il Pil del Centro Nord segna per il 2021 una crescita del 6,8%, del 5% il Sud, a fronte di un +6,4 a livello nazionale. Il percorso di crescita prosegue negli anni successivi, anche se, ha sottolineato Bianchi, emerge quale elemento di potenziale divaricazione nel medio periodo.

Per il 2022 si prevede un aumento del Pil del 4,2% al Centro-Nord e del 4% nel Mezzogiorno, con quest’ultimo quindi che resta «agganciato alla ripresa del Nord». Nel  biennio 2023-2024 i tassi di crescita del Sud si attestano rispettivamente tra +1,9% e +1,5%, e comincia a emergere una «significativa divaricazione» rispetto al resto del Paese che dovrebbe crescere del +2,6% nel 2023 e del +2% nel 2024.

“Nel quadriennio – si rileva – l’impatto relativamente maggiore delle manovre di finanza pubblica e del Pnrr al Sud rispetto al Centro-Nord, dovrebbe impedire al divario di riaprisi”. Nelle regioni meridionali, infatti,  il contributo delle policy alla crescita cumulata  tra il 2021 e il 2024  – che a livello nazionale è pari al 48% – vale il 58,1%, contro il 45% del Centro Nord.

CONSUMI E SALARI FRENANO LA CRESCITA

A frenare la dinamica espansiva sono i vincoli di carattere strutturale, dovuti alle caratteristiche del tessuto produttivo meridionale, lo scarso peso dell’export, ma soprattutto la debolezza dei consumi legata alla dinamica salariale “piatta” –  basta considerare che la percentuale dei dipendenti con una paga bassa arriva al 15,3% nelle regioni meridionali, contro l’8,4% in quelle centro settentrionali – al basso tasso di occupazione e all’eccessiva flessibilità del mercato del lavoro meridionale, con il ricorso al   tempo determinato che riguarda quasi 920mila  persone (22,3% al Sud rispetto al 15,1% al Centro-Nord) e al part time involontario (79,9% al Sud contro 59,3% al Centro-Nord). Un ulteriore dato: il 46% dei 10mila licenziamenti successivi alla caduta del blocco imposto dal governo è concentrato nelle regioni meridionali.

I DIVARI INFRASTRUTTURALI E DI CITTADINANZA

Il rapporto Svimez ha “misurato” i divari e messo l’accento su quelli di cittadinanza da colmare facendo leva sul Pnrr e sulle politiche ordinarie “azionando” i Lep e la perequazione. Il quadro è sconfortante: il divario di genere tra Italia ed Europa è “figlio” del Meridione: qui il numero delle donne tra i Neet  tocca quota 900mila, il 40% rispetto alla media Europa del 17%. Nel 2021, rispetto al secondo trimestre del 2019, l’occupazione femminile è diminuita di 120mila unità (-5% contro -3,3% nel resto del Paese).

Tra il 2002 e il 2020 il numero delle persone che ha lasciato il Sud ha superato il milione, il 30% sono laureati, e solo lo scorso anno oltre 50mila hanno fatto rotta verso il Centro Nord. La povertà è aumentata in tutto il Paese, ma nel Mezzogiorno l’incidenza – del 9,4% – è maggiore che altrove: su oltre 2 milioni di famiglie povere, 775mila vivono al Sud (per un totale di circa 2,3 milioni di persone su  5,6 milioni).

Nella sanità il basso livello di spesa pro capite, rispetto alle altre regioni, spiega il differenziale nelle prestazioni erogate dai diversi servizi sanitari e il fenomeno delle migrazioni sanitarie. Un cittadino su tre, poi, risiede in Comuni in dissesto finanziario che quindi non hanno la capacità di spesa e la possibilità di garantire i servizi. Sull’istruzione, il divario di cittadinanza si misura fin dalla prima infanzia: per quanto riguarda gli asili nido  il Sud è in grado garantire una copertura del 14,9% rispetto al 33,5% complessivo del Centro Nord e una media italiana del 26,9% (dati 2019). «Va nella giusta direzione – ha affermato  Bianchi – l’introduzione dei Lep su questo servizio prevista dalla legge di Bilancio, cosi come quella per il servizio di trasporto per gli alunni con disabilità».

Un passaggio significativo che la ministra Carfagna si è impegnata a portare avanti con l’introduzione dei Lep anche  su altri servizi. C’è poi il divario infrastrutturale: basti pensare che l’alta velocità sulla rete ferroviaria meridionale si limita per il momento ai 29 chilometri della Napoli-Salerno. Gli investimenti legati al Pnrr dovrebbero aggiungerne 303. Alle risorse del Pnrr è legata quindi la possibilità di intravedere «la luce in fondo al tunnel», come ha affermato Bianchi, ma qui si apre la vera sfida che è quella dell’attuazione.

Gli enti territoriali dovranno gestire come soggetti attuatori tra i 67 e 71 miliardi, Svimez stima la quota Sud pari a 20,5 miliardi, per lo più concentrati nel biennio 2024-2025. Lo sforzo aggiuntivo di spesa annuo dovrebbe raggiungere  i 4,7 miliardi, pari a un incremento del 51% della spesa media del triennio 2017-2019. Per il Centro Nord lo “sforzo” sarebbe intorno al 41%. La sfida diventa particolarmente ardua alla luce dell’impoverimento degli organici delle pubblica amministrazioni, in particolare di quelle del Sud dove tra il 2010 e il 2019 la riduzione dell’occupazione è stata del 27%, contro il 18,6% del Nord.

Non meno rilevante è la questione delle competenze: restringendo il campo ai Comuni, il personale laureato solo in pochi casi supera il 30%: al Sud spicca Bari con il suo 37,60% a fronte di un esiguo 10,70% di Palermo e del 19,60% di Napoli. Alla luce di questi numeri, i timori sulle performance nella progettazione e attuazione degli interventi appaiono più che legittimi. Il governo è corso ai ripari ed è pronto a nuovi interventi, ha assicurato Carfagna accogliendo il suggerimento di Svimez relativo alla costituzione dei centri di competenza territoriale, in raccordo con le università.

La rigenerazione della pubblica amministrazione, prevista tra le riforme del Pnrr è quindi essenziale. Come lo è quella della giustizia dove il gap Nord-Sud è profondo sia nel civile sia nel penale: nel 2019 per chiudere un procedimento civile occorrevano circa 280 giorni nei tribunali del Nord, 380 al Centro e quasi 500 nel Mezzogiorno; rispettivamente 290, 450 e 475 nel penale. «Poter contare sulla certezza del diritto e sulla definizione dei contenziosi in tempi certi e ragionevoli è una precondizione per lo sviluppo delle imprese in un contesto di legalità e per migliorare l’attrattività dell’Italia rispetto agli investimenti esteri», ha sostenuto Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi, sottolineando poi che «per chiudere l’attuale gap esistente tra il nostro Paese e l’area dell’euro è di fondamentale importanza consentire all’economia meridionale di recuperare il divario con il resto del Paese».

Un altra scommessa riguarda il coordinamento tra i fondi del Pnrr e quelli della politica di coesione. Intanto ci sono ancora 30 miliardi di spendere entro il 2023 nell’ambito della programmazione 2014-2020, cui vanno a sommarsi gli 83 del nuovo ciclo (2021-2027), una quota rilevante è destinata al Sud.

Ma c’è una sfida tra le sfide che, ha  sottolineato Giannola, consiste nel «tradurre le risorse straordinarie» che l’Europa ha concentrato sull’Italia, «in risultati straordinari».

«Da qui la richiesta sottovoce al governo di chiarire qual è il percorso strategico – ha detto il presidente di Svimez – gli obiettivi dovrebbero essere chiaramente esplicitati in termini di risultati. E se si ragiona in termini di risultati il Mezzogiorno è decisivo sia per i vantaggi che porta al Paese rispetto al resto dell’Unione, sia per gli effetti della ripresa sullo sviluppo che richiede un cambiamento di rotta rilevante rispetto al passato».


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