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Daniele Franco, ministro dell’Economia e delle Finanze, col premier Mario Draghi

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IL PAESE ha di fronte a sé una disponibilità di risorse enorme, pari a 370-380 miliardi per i prossimi anni, tra fondi nazionali e europei, – 60 miliardi l’anno se si considera un arco temporale di sei anni – per affrontare i problemi di stagnazione del Paese e i suoi divari territoriali, sostenere la ripresa  e la crescita, per cui il 2023, 2024, 2025 saranno il vero banco di prova, e «far sì che le regioni meridionali siano una componente dinamica di questa ripresa». «Le risorse che abbiamo davanti sono un’occasione molto importante per cambiare il Paese».

Daniele Franco, ministro dell’Economia e delle Finanze, guarda alle opportunità che i 222 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza – 82 destinati al Sud – offrono al Paese, con la consapevolezza che da soli non bastano per affrontare la sfida della ricostruzione e del riavvio della convergenza tra due Italie sempre più distanti. «Dobbiamo usare tutti gli strumenti di politica economica di cui disponiamo e avere una visione strategica che vada oltre i 6 anni del Pnrr».

Dalla programmazione comunitaria alle risorse messe in campo con le leggi di bilancio, fino al Fondo di sviluppo e coesione. Il ministro è intervenuto nell’ambito della campagna di ascolto “Uniamo l’Italia”, promossa dal ministro del Sud, Mara Carfagna, in vista della programmazione 2021-2027 dei 73,5 miliardi del Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc), 50 stanziati dalla legge di Bilancio dello scorso anno, 23,5 da quella ora all’esame del Parlamento. Una due giorni che vede coinvolte Regioni, Comuni, parti sociali, imprese, università e terzo settore chiamati a confrontarsi in otto tavoli tematici per individuare le priorità su cui concentrare le risorse dell’Fsc.  

«Al Sud – ha sottolineato Carfagna – è riservato l’80% di questa cifra, circa 54 miliardi di euro. Un investimento pluriennale di entità paragonabile al Pnrr e ai fondi strutturali, che merita una programmazione attenta, partecipata e condivisa e costantemente monitorata», in modo che possa tradursi in «programma strutturale per la riduzione dei divari territoriali e lo sviluppo del Sud, delle aree interne e di ogni territorio depresso del Paese». La programmazione, ha sostenuto la ministra del Sud, dovrà puntare a massimizzare i risultati del Pnrr e dei fondi strutturali europei, «intervenendo magari laddove il Pnrr non può  arrivare», dalle infrastrutture su gomma agli aeroporti, o dove le risorse del Pnrr hanno bisogno di essere integrate, come sugli investimenti per il sistema idrico nazionale, sulla ricerca, sulla riqualificazione urbana e sulle infrastrutture sociali.

«Può essere lo strumento che ci dà più flessibilità e consente di colmare il divario», ha puntualizzato il titolare del Mef. La sfida – e anche su questo i due ministri si sono trovati perfettamente in linea – è spendere e bene i fondi. In modo che i risultati, ha aggiunto Carfagna, siano «percepibili in termine di sviluppo, occupazione, abbattimento delle disuguaglianze e dei divari di genere, generazionali e territoriali. Solo così potremo avvicinare il Sud al resto d’Europa e unire l’Italia».

Il ministro dell’Economia ha “misurato” il «terribile» divario tra le due Italie in termini di Pil pro capite che nel Mezzogiorno è pari al 55% di quello del Centro Nord, «un divario enorme e persistente»; di un tasso di occupazione e una percentuale di giovani che completano il ciclo di studi più bassi rispetto al resto del Paese; e ancora dell’emorragia del capitale umano, della dotazione infrastrutturale inadeguata, della qualità dei servizi pubblici. «Sono divari che non trovano riscontro in altri importanti Paesi europei», ha sottolineato Franco ricordando che proprio per questo il Mezzogiorno è tra i principali destinatari delle politiche di coesione della Ue. La programmazione 2021-2027 dei fondi strutturali gli riserva 54 degli 81 previsti a livello nazionale. Una “disponibilità” da parte dell’Europa che le regioni meridionali non hanno saputo mettere a frutto, come ha evidenziato il ministro ricordando che nell’ambito della programmazione 2014-2020, i pagamenti finora effettuati sono stati pari al 53% delle risorse programmate, contro il 62% del Centro Nord.

«In questo quadro si inserisce il Pnrr che mira a imprimere un’accelerazione alle politiche di riequilibrio territoriale», ha affermato Franco. Le risorse sono fondamentali, «ma il punto è saperle spendere». Determinate  a questo scopo è l’intervento sulla pubblica amministrazione: «Rafforzare la capacità amministrativa e tecnica di tutta la filiera pubblica al centro e sul territorio è uno dei requisiti per il successo del Pnrr». Come cruciale è il rispetto dei target e milestone cui è subordinata l’erogazione dei fondi.

«Per fine anno dobbiamo raggiungerne 51, siamo arrivati a 38 contiamo nei prossimi giorni di chiudere con tutti gli obiettivi», ha affermato il ministro. Le risorse di cui l’Italia potrà disporre nei prossimi anni, ha ribadito, sono «considerevoli»: 370-380 miliardi cui si arriva comprendendo gli 81 della programmazione comunitaria – di cui 54 per le regioni meridionali – i 222 del Pnrr, i 73 dell’Fsc – sessanta miliardi l’anno, se si guarda all’arco temporale del Pnrr, che il ministro ha messo a confronto con la spesa per investimenti della Pa pari a 45/50 miliardi annui – a cui si aggiungono gli stanziamenti della legge di bilancio: considerando le manovre dal 2017 al 202, ha sottolineato Franco,  i fondi di durata quindicinale sono pari a 170 miliardi, cui la “nuova” manovra ne somma altri 71.

Alla luce di questo «enorme» ammontare di risorse è «cruciale la capacità di programmare e realizzare i progetti», una responsabilità, ha sottolineato Franco, che chiama in causa tutti, «governo, Regioni, Province Città metropolitane, Comuni»


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