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Non solo sono care ma scarseggiano, e se continua così entro pochi mesi l’industria italiana non avrà materie prime. Ma avrà certamente costi alle stelle (68 miliardi di maggiori oneri solo per la bolletta energetica) e marginalità in rapidissima compressione, specie per il settore metallurgico che raggiungerà un’incidenza dei costi energetici pari al 23%.

Una grande nube d’incertezza avvolge l’industria italiana, e la principale deriva dall’ulteriore aumento dei prezzi energetici, agricoli, dei metalli. I Paesi in guerra detengono, infatti, una quota mondiale elevata di numerose commodity: carbone e altri minerali (argilla, utilizzata nella ceramica), metalli come nickel, platino, palladio e altri semilavorati in ferro e acciaio, input necessari per i comparti elettronico e automotive, e ancora grano, mais e olio di semi, utilizzati nell’industria alimentare.

Ciò comporta, in primo luogo, uno shock concentrato in specifiche produzioni. In seconda battuta, gli effetti di colli di bottiglia si amplificheranno lungo le filiere, fino ai beni di consumo e investimenti. Effetti che si sommano ai rincari di petrolio, gas, carbone e che stanno facendo salire vertiginosamente i costi delle imprese.

INDUSTRIA, MAGGIORI COSTI ENERGETICI PER 68 MILIARDI

Da un’analisi svolta dal Centro Studi di Confindustria, presentata sabato scorso, l’incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione (a parità delle voci di costo non energetiche) aumenterebbe del 77% per il totale dell’economia italiana, passando dal 4,6% nel periodo pre-pandemico (media 2018-19) all’8,2% nel 2022. In euro, questo impatto si tradurrebbe in una crescita della bolletta energetica italiana di 68 miliardi su base annua. Il settore più colpito è di gran lunga la metallurgia, dove l’incidenza potrebbe sfiorare il 23% alla fine del 2022, seguito dalle produzioni legate ai minerali non metalliferi (prodotti refrattari, cemento, calcestruzzo, gesso, vetro, ceramiche), dove l’incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare al 16%, dalle lavorazioni del legno (10%), dalla gomma-plastica (9%) e dalla produzione di carta (8%).

FORTE COMPRESSIONE DEI MARGINI

Le imprese, invece di scaricarli sulle fasi successive della produzione, hanno finora in gran parte assorbito nei propri margini i costi e i l’erosione dei margini: ciò spiega perché l’inflazione core in Italia è bassa, molto più che altrove. L’unico aspetto positivo è che questo andamento di prezzi e margini ha salvaguardato la competitività delle imprese italiane rispetto a quelle di altri Paesi, ma è una situazione non sostenibile.

Per questo diverse imprese stanno riducendo o fermando la produzione, o prevedono di farlo nei prossimi mesi. D’altra parte, i rincari dei prezzi energetici (+52,9% annuo a marzo) comprimono il potere d’acquisto delle famiglie e ciò influirà su ampiezza e ritmo di crescita dei consumi, il cui recupero è stato prima ostacolato dall’aumento dei contagi e ora anche dalla maggior incertezza che influenza la fiducia, che a marzo è crollata.

«Il caro energia – si legge in una nota del presidente di Confindustria Lombardia Francesco Buzzella – sta mettendo in ginocchio le imprese. In questo scenario, gli inviti a ridurre i consumi rivolti dalle istituzioni europee e italiane sono inconciliabili con i livelli e le esigenze di produzione dell’industria lombarda: a questi livelli di costo una rilevante parte delle imprese lombarde è a rischio chiusura. Serve un immediato tetto al prezzo del gas a livello nazionale e un taglio deciso di tutte le imposte indirette sui carburanti, oltre a un’operazione trasparenza sui contratti in essere di approvvigionamento gas».

Trasparenza sul prezzo del gas la chiede anche Confindustria Veneto per bocca del suo presidente Enrico Carraro: «Sono all’opera elementi speculativi che vanno combattuti perché altrimenti i tetti al prezzo del gas potrebbero non bastare». Per non dire, come sottolinea il presidente di Confindustria Emilia-Romagna Pietro Ferrari, che «devono essere riprese le riforme timidamente approcciate in questi mesi: prima di tutte quella del fisco, intervenendo strutturalmente sul cuneo fiscale. Gli effetti dell’inflazione sui salari rischiano di essere “deprimere” ulteriormente l’economia e le imprese italiane».

«La situazione è preoccupante. Siamo già quasi al limite e, per questo, si deve intervenire al più presto se non vogliamo che la manifattura del Paese si fermi entro un paio di settimane – dice la presidente di Ucimu (macchine utensili) Barbara Colombo – Le aziende costruttrici di macchine utensili si ritrovano con un carico di ordini mai visto prima, frutto della raccolta degli ultimi mesi del 2021. Abbiamo circa 10 mesi di produzione assicurata ma, in realtà, tra pochissimo non potremo produrre più nulla. I nostri ordini resteranno sulla carta e le fabbriche dovranno fermarsi».

Qui il problema non è tanto il rincaro delle materie prime, ma, innanzitutto, la totale mancanza di materie prime; penso ad acciaio, ghisa, nichel che arrivavano per lo più da Russia e Ucraina. Ma lo stesso vale anche per carbonio, titanio, cromo.


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