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LO SBARCO in contemporanea su TikTok di Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e altri leader politici rilancia la questione del voto giovanile. Da tempo gli istituti di sondaggi ricordano che le elezioni del 25 settembre potrebbero essere quelle con il maggior numero di astenuti nella storia della Repubblica. E la maggior parte di quel 40% di elettorato orientato a disertare le urne sarà fatto di giovani tra i 18 e i 24 anni. Un elettorato che, per una volta, potrebbe diventare decisivo: i cittadini di questa fascia di età, infatti, dopo la riforma della Costituzione dell’anno scorso, per la prima volta nella storia potranno votare anche per il Senato.

E così, in una campagna caratterizzata dalle promesse dedicate soprattutto ai pensionati – che rappresentano la massa di elettori più cospicua e praticante – i politici si ricordano all’improvviso di parlare con i giovani. E così vanno per le vie brevi. Per esempio, ricordandosi che esiste un social network di invenzione cinese che si chiama TikTok completamente abitato da quel target di potenziali elettori. Lo stile scelto, però, non è dei migliori. Nei loro video ancora troppo autoreferenziali, sia Berlusconi che Renzi (soprattutto il primo) scelgono di comportarsi come quegli adulti che per dialogare con un bambino pensano che l’unico modo sia fare i simpatici con la vocina stridula e le smorfie da scemo. Ma i giovani che stanno su TikTok non sono bambini e neppure stupidi. E così i follower dei nuovi arrivati aumentano esponenzialmente, certo, ma la gran parte degli utenti commenta quei goffi tentativi con l’arma della derisione.

La media dei commenti suona un po’ così: “vi guardiamo sì, ma solo per farci un mucchio di risate, non certo per votarvi”. Che fine farà, dunque, quell’elettorato potenziale di quattro milioni di giovani (questa è la cifra dei nuovi elettori del Senato)?

La grande paura è la diserzione di massa. Tutti gli istituti di ricerca confermano che, il prossimo 25 settembre, il primo partito sarà quello degli astenuti, per larga parte composto dalla generazione Z, cioè i nati dopo il 1997. Secondo le recenti rilevazioni di Swg, le persone astenute o non sicure di andare a votare sono pari al 42%. Il motivo è che “votare non serve a nulla”, una opinione spesso diffusa tra i ragazzi. È proprio il target tra i 18 e i 34 anni quello che raggiunge il 48% tra le categorie di età con minori motivazioni per andare ai seggi, all’opposto di over 54 e pensionati. Non sarebbe una novità: nel 2018, ad esempio, si stima che meno del 55% degli under 35 sia andato a votare. La gran parte dei giovani lamenta il disinteresse della politica nei loro confronti. Sempre secondo Swg, il 36 per cento degli under 35 vorrebbe che le proposte dei giovani fossero “prese in considerazione”. In particolare, l’ambiente e il cambiamento climatico (34 per cento) e la qualità della scuola e delle università (31), davanti a disoccupazione e sanità. I giovani si definiscono per la maggioranza ambientalisti (29 per cento), progressisti (27) europeisti (27) e antifascisti (25). Connotati che si riverberano anche sulle “affinità elettive” con i partiti in gara. Il partito percepito potenzialmente più vicino da quella fascia di età è il Partito Democratico (41 per cento), seguito da Alleanza Verdi e Sinistra (39), quindi Azione e Italia Viva che superano il M5s. Più indietro Fratelli d’Italia, Forza Italia e la Lega. Una fotografia che rovescia lo stato dei sondaggi attuali. A ciò si aggiunga che i potenziali astenuti under 35 che si collocano nel campo del centrosinistra sono il doppio di quelli che si collocano nel centro destra. Si spiega così l’attenzione verso questa porzione di elettorato che, ormai da tempo, caratterizza i partiti del centrosinistra, primi tra tutti il Pd e il M5s.

All’inizio della settimana è stato Beppe Grillo, il fondatore del M5s, a rompere il suo silenzio elettorale parlando sul suo blog dei 16enni, una generazione che è fuori dalla competizione elettorale. Grillo ricorda che l’Italia è “il Paese con la popolazione più anziana d’Europa” e che i giovani, anche quelli che possono votare, “non lo fanno perché non credono più nei politici”. “Ragazze e ragazzi sospesi, già ampiamente maturi e preparati vengono tenuti fuori dalle scelte politiche”, accusa il comico genovese. Poi ricorda il voto del Movimento nel 2013 “per l’estensione del voto ai sedicenni nella riforma della legge elettorale europea” e la presentazione in Parlamento di “una mozione di riforma costituzionale e istituzionale per estendere il voto anche ai referendum popolari sulla modifica di Governo e di Stato”. Entrambe le proposte furono bocciate. Viceversa, com’è noto, ha avuto successo la riforma per l’estensione del voto ai maggiorenni anche per il Senato.

Di recente, l’argomento del voto ai sedicenni è stato rilanciato pure dal segretario del Pd Enrico Letta. “So che è una battaglia divisiva, complicata, ma dobbiamo allargare il peso dei giovani nella società”, aveva detto Letta nel giorno dell’investitura a segretario del Partito democratico nel marzo dell’anno scorso. Tra i suoi obiettivi c’era proprio l’abbassamento a 16 anni dell’età minima per votare. Una proposta innovativa: sono ancora pochissimi infatti i paesi nel mondo che riconoscono il diritto di voto ai sedicenni per le elezioni politiche. Il primo paese dell’Unione europea a consentirlo è stato l’Austria nel 2007. Poi, nel 2016, è stata la volta della Grecia e, nel 2018, di Malta. In Germania i sedicenni non possono votare nelle elezioni federali, ma solo in quelle regionali e nemmeno in tutti gli stati. In Sudamerica i sedicenni possono votare in Brasile, Argentina, Ecuador, Cuba e Nicaragua. Una soglia ai 17 anni è fissata invece in Corea del Nord, Timor Est e Indonesia. I motivi di questa sensibilità verso i giovanissimi da parte di Grillo e Letta sono almeno due. Sul piano dei valori, c’è da contrastare il fatto obiettivo che le politiche pubbliche in Italia sono tarate soprattutto sulla popolazione anziana che, per via del calo demografico, tende ad aumentare nel rapporto con quella giovanile. Con la conseguenza di un peso ben maggiore sul corpo elettorale.

In secondo luogo, c’è pure un interesse speculativo: come abbiamo visto, infatti, la gran parte dell’elettorato giovanile è più sensibile verso alcuni temi – in particolare, diritti e ambiente – che sono basilari nella piattaforma programmatica di Pd e M5s. I giovani di 16 e 17 anni, oggi, superano di poco il milione di unità e, se potessero votare, rappresenterebbero poco più del 2 per cento della massa dei votanti. Non sono certo numeri enormi, ma sommati ai 4 milioni di persone tra i 18 e i 24 che voteranno per la prima volta al Senato diventerebbero un gruzzolo molto interessante di potenziale consenso. Ma è troppo presto per parlare delle future riforme. Per ora, la sfida urgente (che può cambiare la campagna elettorale in corso) è una: portare alle urne gli under 35.


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