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Mario Draghi e Angela Merkel

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Clima disteso, continui riferimenti al calcio come unica possibile divisione, seppur leale, tra i due Paesi e tra i due leader. Che Draghi e Merkel si stimino e apprezzino non vi sono dubbi.

Che il rapporto tra Italia e Germania si possa definire, come ha fatto il nostro presidente del Consiglio, “profondo, duraturo e solido”, non vi è allo stesso modo discussione.

Che l’armonia sia totale su ogni dossier non è però altrettanto vero. È in particolare sul tema dei migranti che le sfumature, almeno potenzialmente, potrebbero emergere. Alle domande specifiche nel corso della conferenza congiunta, Draghi e Merkel hanno risposto sottolineando assoluta comunità di vedute e di intenti. In realtà vi è prima di tutto una differenza derivante dalle priorità dettate dalle contingenze nazionali di ciascuno dei due capi di governo.

Angela Merkel si trova al termine di un ciclo e ha come unico obiettivo quello di cedere il testimone ad una leadership cristiano-democratica che sta cercando di dare sostanza appunto al dopo Cancelliera. Gli ultimi sondaggi accreditano la CDU del candidato Laschet con un buon margine di vantaggio in particolare sui verdi.

È però evidente che Merkel deve fare di tutto per evitare che al già delicato tema del recovery fund e della potenziale mutualizzazione del debito europeo, si aggiunga anche quella dell’allocazione dei migranti all’interno dello spazio europeo, così da infiammare la campagna elettorale e soprattutto Alternative für Deutschland.

Mario Draghi è consapevole di tutto ciò e di quanto sia stato determinante il ruolo di Merkel per il via libera al progetto che ha dato origine a Next Generation Eu, un piano di rilancio prima di tutto per evitare che l’Italia si tramutasse nel veicolo di distruzione del processo di integrazione europeo. Merkel è la vera regista del salvataggio italiano per ragioni essenzialmente europee.

Come si è detto per Draghi il quadro è chiaro. Proprio tale chiarezza rende il presidente del Consiglio italiano, sostenuto da Macron (non a caso a Berlino tre giorni fa anche lui per un bilaterale di preparazione del Consiglio europeo del 24-25 giugno), pronto ad una sorta di scambio minimo, negoziato all’interno del triangolo Parigi-Berlino-Roma.

Via libera italiano e francese, per fornire sostegno alla Turchia e alla sua richiesta di negoziare un nuovo patto sui migranti, tale da prevedere nuovi ingenti esborsi da parte dei Paesi Ue in cambio della chiusura della rotta balcanica con Merkel, oggi come cinque anni fa, quale garante dell’operazione. E dall’altro lato via libera da parte di Berlino all’intervento Ue almeno sulla cosiddetta “dimensione esterna” della questione migratoria. Espressione che tradotta implica un intenso lavoro a livello di Ue sui Paesi di partenza e di transito.

La linea del pragmatismo è comprensibile per Merkel, lo è per Macron che ha davanti a sé dieci mesi di complicata campagna elettorale in vista del voto della primavera del 2022. Per certi aspetti Draghi potrebbe (il condizionale è d’obbligo con la corsa al Quirinale molto incerta nel febbraio prossimo) prendere in mano la situazione e ridiscutere il dossier migranti almeno da due punti di vista.

Da un lato potrebbe tornare a trattare con il successore di Merkel il tema dell’eccessivo potere di ricatto che l’Ue he regalato a Erdogan, insieme al denaro, per chiudere la rotta balcanica. Un vero e proprio “cadeau politico” per una Turchia altrimenti declinante e in grave crisi economico-finanziaria. Draghi, non dimentichiamolo, è colui che ha definito il “sultano”, un vero dittatore. Dall’altro lato operare sulla cosiddetta dimensione esterna del fenomeno migratorio significa prima di tutto passare attraverso il “ginepraio libico”.

Con il cambio della guardia in Germania e con Macron distratto dalla campagna presidenziale, l’Italia potrà lavorare nel quadrante libico a nome dell’Unione? Draghi potrà insomma ottenere un “mandato europeo” su questo dossier? In definitiva senza toccare altre delicate sfumature tra Merkel e Draghi, magari a proposito del rapporto con la Russia e con gli Usa (che non sono così coincidenti tra Berlino e Roma) e al netto delle cortesie istituzionali, nei prossimi mesi il dialogo italo-tedesco potrebbe farsi più dialettico.


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