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Le abbiamo contate: sono 278 le parole che Sergio Mattarella ha dedicato alla riforma della Giustizia nel suo discorso. Un’inezia rispetto alla vastità e puntualità dei temi toccati. Eppure, la parte del messaggio del Presidente dedicata alla giustizia è pari a circa il 10% del totale. Perché, tra tutti gli argomenti citati, Mattarella ha insistito così a lungo sul ruolo della magistratura? Lo capiremo meglio nei prossimi mesi, quando potremo verificare se, all’appello del Presidente, corrisponderà un suo concreto impulso per le riforme.

DAGLI ANNI ‘90 LA DERIVA

Negli ultimi anni, il peso della magistratura sulla vita pubblica italiana è cresciuto in maniera spropositata. Il fenomeno affonda le sue radici nel crollo della Prima Repubblica e nel trauma di Tangentopoli. Fu allora che la magistratura sferrò il colpo di grazia al sistema dei partiti del dopoguerra, superato storicamente dalla fine del bipolarismo Est-Ovest (e dalla caduta del Muro di Berlino) e guastato dalla corruzione diffusa. Proprio in questo mese si celebrano i 30 anni dall’inizio di Tangentopoli: sarebbe l’occasione buona per una rilettura spassionata di quella stagione.

Nel corso di questo trentennio, la magistratura si è sempre più autoeletta tutore univoco della Costituzione, supplendo al progressivo declino dei partiti. I giudici sono spesso entrati pesantemente nella vita pubblica: decine e decine di politici e amministratori pubblici sono caduti sotto la pressione di indagini che hanno interrotto la loro vita politica e distrutto la loro reputazione personale. Spesso, i processi si sono risolti in un nulla di fatto, con un numero elevato di assoluzioni. Ma la fine del tormento è avvenuto sempre dopo un tempo lunghissimo, spesso ultradecennale, tale da impedire la riabilitazione tempestiva degli imputati.

Questi casi non sono isolati, bensì sono il frutto di un’ondata giustizialista che affonda le sue radici culturali negli anni di Tangentopoli, si consolida nella lotta politico-giudiziaria contro Silvio Berlusconi, si alimenta con la trasformazione dell’antipolitica delle origini in un movimento populista organizzato che, alla fine, è sbarcato nelle aule parlamentari.

L’argomento della certezza della pena si è fatto strada a scapito dell’argomento della certezza del diritto: il ministro grillino Alfonso Bonafede è stato il campione di questa linea che salda la pervasività del potere della magistratura all’aspettativa di una crescente severità delle pene. In questo clima, le antiche deficienze del sistema giudiziario resistono o, perfino, si aggravano.

L’EUROPA E LA SPINTA DEL COLLE

Secondo i dati del Consiglio d’Europa, la giustizia italiana è la più lenta nel confronto con gli altri Paesi europei. La durata media di un processo civile è pari a sette anni e tre mesi circa. In confronto, i processi durano circa la metà in Francia e in Spagna, mentre circa un terzo in Germania.

In generale, per i cittadini italiani avere a che fare con il sistema giudiziario è come fare una gita all’inferno. Le cronache degli ultimi anni – ivi comprese le confessioni di Luca Palamara, già presidente dell’Associazione nazionale magistrati – rivelano numerosi casi di abusi della magistratura, un sistema di autogoverno arbitrario e corrotto, la moltiplicazione delle faide tra le correnti dei giudici: il potere giudiziario appare irrimediabilmente autoreferenziale e sempre più intossicato. A quanti hanno denunciato le derive di questi anni, l’azione di Sergio Mattarella – che, in qualità di capo dello Stato, è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura – è apparsa troppo timida, se non addirittura subalterna alla magistratura e al cosiddetto “partito dei Pm”.

Forse è per questo che, l’altroieri Mattarella ha scelto di fare la voce grossa. I principi di autonomia e di indipendenza – il cui presidio, avverte il presidente «risiede nella coscienza dei cittadini» – vanno rispettati, certo. Ma «l’ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della magistratura devono corrispondere alle pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini», aggiunge il capo dello Stato.

Mattarella chiede «che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento» e che siano superate «le logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono restare estranee all’ordine giudiziario».

Per Mattarella il potere giudiziario è vincolato al rispetto dei diritti dei cittadini. I quali «devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’ordine giudiziario» e non «devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone».

Al Parlamento, investito di questo appello, resta appena un anno di lavoro. Ma le resistenze dei magistrati, unite all’insufficienza della riforma Cartabia, allontanano ancora la soluzione del problema.


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