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Chiellini, Mancini e Gravina regalano a Mattarella la maglia azzurra

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QUANDO scendono dal pullman azzurro, lo stesso colore delle magliette, non dimostrano stanchezza. Il palazzo del Quirinale è a un passo, ma Chiellini e Roberto Mancini sono felici lo stesso. Sostengono la coppa di campioni europei con la gioia di aver vinto un trofeo prezioso, lontano più di 50 anni dall’ultima vittoria. Hanno vinto malgrado la fatica, hanno ricevuto gli applausi del presidente Sergio Mattarella, per due giorni sono stati confortati non solo da pattuglie di tifosi.

Ed hanno lasciato una Londra addolorata che ha mandato minacce e insulti razzisti ai tre giocatori di colore che hanno sbagliato i rigori. Un’ondata di insulti razzisti si è scatenata contro Jadon Sancho, Bukayo Saka e Marcus Rashford. Quest’ultimo già era stato preso di mira dai tifosi del Manchester United al termine della finale di Europa League persa con il Virreal a fine maggio. Ma queste forme di razzismo scellerato non fermeranno i campioni che manifestano contro, inginocchiandosi in segno di protesta ogni qualvolta deve iniziare una partita. «Imperdonabili gli insulti di razzismo ai giocatori inglesi, ha detto il Ct, Garet Southgate. Anche il principe William, secondo in linea di successione della corona e presidente d’onore della Federcalcio inglese, si è detto nauseato». «È totalmente inaccettabile che alcuni giocatori assumano comportamenti abominevoli».

Il clima della serata è stato molto forte. I tifosi inglesi, convinti che il loro team fosse inaffondabile, hanno fischiato l’inno di Mameli. E i giocatori a fine partita, si sono sfilati la medaglia d’argento che spetta a chi perde la finale. Un fermo immagine riprende i volti di William, Kate e George nella loro delusione. Prima della finale il principe William ha voluto inviare un video di auguri al team inglese, esprimendo auguri alla squadra. «Tutti noi siamo con voi». Purtroppo, per loro, non è andata così.

Il bagno di folla è continuato sull’asse tra Quirinale e Palazzo Chigi. Il ct azzurro, Roberto Mancini, ha dedicato la vittoria “agli italiani”. Ed il presidente della Repubblica ha spiegato che sono stati superati due handicap dagli azzurri: nel primo caso si trattava di giocare in casa degli avversari. L’altro handicap, ha riguardato l’aver subito il primo goal a freddo che avrebbe messo in ginocchio chiunque. Poi ha elogiato il campione di tennis, Berrettini. «Arrivare alla finale di Wimbledon, con la rimonta del primo set, equivale a una vittoria». Quanto al calcio, ha affermato che «quella seconda parata dell’ultimo rigore ha reso felici milioni di persone, non soltanto in Italia». Ma non ha voluto aggiungere altro.

Dal presidente della Figc, Gabriele Gravina, è arrivata una affermazione piuttosto singolare. Oltre a sottolineare che gli azzurri rappresentano un messaggio di fiducia per il futuro, ha osservato come «il calcio e la Nazionale concorrono a fare il nostro Paese più credibile, stimato, inclusivo e ricco: tutte le maggiori ricerche stimano l’impatto della grande vittoria di ieri, nello 0,7 per cento del pil». Ma questa osservazione è stata fatta a Palazzo Chigi, durante il ricevimento della Nazionale da parte di Mario Draghi. Che ha accolto, davanti al portone di Palazzo Chigi, i giocatori.

In piazza Colonna, Draghi ha stretto la mano al capitano, Giorgio Chiellini e al tennista Berrettini, per poi entrare nel cortile della sede del governo. Il premier ha incalzato i calciatori: «Oggi lo sport segna in maniera indelebile la storia delle nazioni. Oggi siete voi a essere entrati nella storia. Con i vostri sprint, i vostri servizi, i vostri goal, le vostre parate». E ha chiosato, guardando il portiere della Nazionale, Donnarumma, «e che parate!». A questo punto, è arrivata una pioggia di applausi. Ma soprattutto al premier ha fatto piacere essere finito al centro dell’Europa in un momento delicato e cruciale, per l’Italia che deve affrontare molte riforme da cui il Paese deve ripartire: «Quello di cui ci avete reso orgogliosi – ha concluso – è di essere uniti in queste celebrazioni nel nome dell’Italia».


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