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Il governatore Attilio Fontana

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In Lombardia non va tutto bene, specialmente per Fontana. Stavolta a dirlo è il commissario nazionale per l’emergenza Covid generale Paolo Figliuolo per quanto riguarda l’emergenza Covid, la Procura della Repubblica per i conti in Svizzera del governatore e gli alleati di governo in Lombardia che minacciano la rottura.

Ieri doveva essere il giorno in cui il governo nazionale riconosceva i risultati della Lombardia, invece si è concretizzato in una giornata impossibile da dimenticare per Fontana. E non nel senso migliore.

Prima Figliuolo ha dichiarato pubblicamente quello che all’ombra del Pirellone sembra difficile ammettere: il sistema è andato in panne. Il tanto celebrato modello pubblico-privato ha mostrato tutti i suoi limiti: a partire dalla gestione dei posti letto, per arrivare a quella delle prenotazioni, passando per la constatazione di una medicina territoriale distrutta da anni di “modello Lombardia”.

Solo una parte dei tanti errori di un sistema sanitario che si vantava di essere di eccellenza, ma si è scoperto esserlo solo per chi poteva pagare. Come durante i mesi più duri della pandemia, quando il gruppo San Donato della famiglia Rotelli proponeva visite domiciliari per diagnosticare il Covid a 450 euro a botta. Un servizio che in teoria deve essere garantito dal sistema pubblico per il quale tutti gli italiani pagano.

Ma la giunta leghista ha negato l’evidenza più volte, come quando poche settimane fa tra lo stupore generale Fontana aveva dichiarato «non abbiamo commesso errori, è il virus che è complicato». L’arrivo di Figliuolo però certifica il commissariamento di fatto della macchina lombarda: da oggi i dati per la gestione della vaccinazione dei lombardi saranno gestiti dal portale di Poste Italiane.

Già solo questo aspetto tecnico rende evidente come il Pirellone sia esautorato di fatto dalla gestione della pandemia perché come ha detto Figliuolo «mi hanno descritto la Lombardia come una Ferrari dalle gomme sgonfie, ma forse a volte è mancata la benzina».

Ma per Fontana doversi piegare alla realtà di un fallimento totale della sua Amministrazione forse è stato pure meglio delle notizie arrivate dai magistrati: autoriciclaggio e falsa dichiarazione nella voluntary disclosure, sono le nuove accuse contestate dai pm di Milano al presidente della Regione Lombardia nell’inchiesta sulla fornitura di camici (poi trasformata in donazione) commissionata dalla centrale acquisiti regionale Aria alla società di abbigliamento varesina Dama, controllata dal cognato del governatore Andrea Dini e partecipata anche dalla moglie Roberta, durante la fase più acuta della prima ondata dell’emergenza Coronavirus.

Il nuovo fronte investigativo riguarda nello specifico i 5,3 milioni di euro scudati da Fontana nel 2015 grazie alla voluntary disclosure in un conto svizzero. Soldi che il governatore ha sempre giustificato come frutto di eredità ricevuta dalla madre, di professione dentista. Per vederci chiaro, la procura di Milano ha disposto una rogatoria internazionale in Svizzera. Fontana risultava già indagato per frode nelle pubbliche forniture insieme al cognato Dini e all’ex direttore generale di Aria, Filippo Bongiovanni, accusati anche di turbata libertà nella scelta del contraente.

E se non fosse stato sufficiente, ci si sono messi anche i guai della maggioranza: Fratelli d’Italia infatti minaccia di far cadere il governo. «È tutto in mano alla Meloni» fanno sapere dai piani alti del Pirellone, ma per quanto riguarda i meloniani la decisione del momento è l’Aventino. Salvini dovrà provare a ricucire o rischia di perdere il controllo della regione più popolosa d’Italia.

Ma se non fosse bastato questo, anche dal consiglio di presidenza della commissione Sanità della Regione arriva una tirata d’orecchi: la legge regionale per cambiare la sanità lombarda è ancora ferma al palo. Arriva dunque un ultimatum alla giunta da parte dal consiglio di presidenza, formato da un leghista, una forzista e un 5 Stelle: entro un mese devono presentare un documento di indirizzo, oppure la commissione farà da sé perché non si può perdere altro tempo. Gregorio Mammì, membro dell’Ufficio di Presidente della Commissione e consigliere regionale del M5S Lombardia, dichiara: «Attendevamo per la fine di questo mese un progetto della Giunta, ma non è arrivato assolutamente nulla».

«Come Commissione – aggiunge Mammì – abbiamo il dovere di iniziare a lavorare alla riforma esercitando la funzione legislativa propria dell’assemblea. Non ci possiamo permettere altri ritardi, perciò abbiamo deciso di stravolgere i progetti dell’Assessore. Non attenderemo il testo della Giunta per iniziare le audizioni, ma saranno le audizioni, basate su un documento di indirizzo tecnico, che dovranno guidare i principi contenuti nell’eventuale proposta di legge che arriverà dalla Giunta».
Insomma dopo Gallera, forse il prossimo costretto alle dimissioni sarà proprio Fontana, perché su ogni fronte in Lombardia non va tutto bene.


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