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Giuseppe Conte

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E’ tornato il temporeggiatore. Non quello storico, il “dittatore” dell’antica Roma Quinto Fabio Massimo, che contrastò Annibale evitando lo scontro diretto e fiaccandone così la forza, ma il nuovo, “l’avvocato del popolo” Giuseppe Conte, che evita da tempo di farci sapere quale sia la strategia politica su cui intende impegnare quel Movimento Cinque Stelle, l’elezione alla guida del quale dà per scontata secondo i riti tipici della cosiddetta democrazia diretta (che è l’unica dove si sa da prima con certezza come si esprimeranno gli elettori).

E’ difficile nascondere la sorpresa di fronte all’intervista che l’ex premier ha rilasciato al “Corriere” dopo che era diventata ufficiale la risoluzione a suo favore della controversia con Davide Casaleggio (ufficiale non è il “costo” della transazione, ma questa è la famosa trasparenza). Dopo mesi in cui Conte si preparava ad assumere la guida di M5S non ci dice ancora nulla delle sue intenzioni circa temi non secondari come: se manterrà o meno il nome “Cinque Stelle”, che ne sarà della regola sul divieto del terzo mandato, cosa voglia davvero fare con coloro che sono stati espulsi dal movimento, giusto per citare qualche punto. Non vale dire che su questo dovranno esprimersi i militanti, perché è giusto che sia così, ma i militanti si esprimono approvando o respingendo una linea che il leader propone loro.

Ci si chiede dunque dove voglia portare, se non il movimento, almeno il gruppo parlamentare pentastellato che rimane pur sempre il più numeroso nell’attuale configurazione delle Camere. Pure nelle nebbie di un’intervista che svicola su tutti i temi caldi, tuttavia qualcosa crediamo di avere capito. Naturalmente si tratta di intenzioni che valgono “al momento”, perché la situazione è così fluida e la struttura di M5S rimane così volatile che non ci vuole nulla per cambiare direzione.

Per ora la prospettiva sembrerebbe quella di cercare di portare avanti la legislatura sino alla scadenza naturale. Del tutto comprensibile, perché consolidare un nuovo assetto venendo a capo di un contesto pieno di tensioni richiede tempo. Questo significa non mettere in discussione più di tanto l’esperimento Draghi? Probabilmente sì, perché una linea contraria appare molto rischiosa, almeno fino a che si conferma per l’attuale governo il successo tanto nella lotta contro la pandemia quanto nella gestione di un avvio alla ripresa.

Qualche suggerimento a rompere con Draghi nel momento in cui il semestre bianco impedirà lo scioglimento della legislatura ci sembra più una provocazione da avanspettacolo che una strategia politica.

Intanto non è detto che il governo non potrebbe reggersi anche senza il voto dei Cinque Stelle e in questo caso il movimento si troverebbe semplicemente fuori dei giochi. In secondo luogo se invece l’attacco all’esperimento Draghi portasse alla sua caduta, significherebbe andare senz’altro alle elezioni anticipate appena scelto il nuovo presidente della Repubblica, essendo difficile immaginare la prosecuzione della legislatura dopo il terzo ribaltone parlamentare. E in più questo complicherebbe non poco la gestione della successione a Mattarella.

Il vero rebus che Conte deve sciogliere è dunque come restare in questa maggioranza rendendosi visibile in modo tale da conservare almeno una buona quota del consenso elettorale che il grillismo raccolse nel 2018. Ora Conte gioca a fare il grillino, perché così impone la sua parte, ma non lo è. Deve ricorrere a tutta quella che la vulgata definirebbe una retorica avvocatesca per far convivere il bianco e il nero: sostenere che i Cinque Stelle vanno avanti con le loro bandierine e al tempo stesso marciare più o meno disciplinati dietro Draghi che smonta e rimonta il sistema istituzionale e politico italiano.

Lo si vede benissimo nelle nebulose affermazioni sulla riforma della giustizia, dove Conte deve sostenere il suo amico Bonafede, fingendo di non capire che proprio quell’impostazione del problema impedisce una revisione ragionevole del modo di funzionare dei processi. La soluzione di affermare che l’ex ministro della giustizia aveva già messo in campo gli strumenti per ottenere i risultati che si propone Marta Cartabia, fa il paio con quella sostenuta dai suoi supporter secondo i quali Figliuolo non fa altro che portare a termine quel che aveva progettato Arcuri. Basta crederci per vivere senza pensieri, anche se non è così.

Per ora la tattica può funzionare, un po’ contando sui tempi tecnici per avviare la nuova piattaforma che consentirà le votazioni per ratificare tutti i passaggi (a proposito: ci sarà qualche possibilità di controllo sulla veridicità dei dati raccolti o si continuerà nello stile Rousseau?), un po’ sfruttando la distrazione dell’estate che arriva con l’entusiasmo per il virus meno aggressivo. Poi però arriverà la prova elettorale d’autunno e lì non ci sarà solo la questione dei sindaci (nessun Cinque Stelle di peso a parte la Raggi), ma soprattutto quella delle percentuali che prenderanno le liste pentastellate.

E’ da quel momento che Conte dovrà decidere una linea, sia che possa farlo sull’onda di un successo almeno discreto nelle urne, sia che debba misurarsi con un insuccesso più o meno grande. Fino ad allora potrà continuare a temporeggiare, anche se non sappiamo se sia una tecnica che stressa i suoi alleati e i suoi avversari costretti ad esporsi in sua vece, o un modo di agire che innanzitutto stresserà lui e il movimento di cui si mette o viene messo a capo.


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