Fedez e Chiara Ferragni
4 minuti per la letturaLA STORIA insegna che “Politici fate schifo” è il bramito più squisitamente qualunquista che ci sia. È ricorrente, perché periodicamente riempie la gola di chi scaglia il proprio disprezzo verso il Palazzo e ciò che rappresenta. Esempi vecchi e nuovi non mancano: il dannunziano lancio del pitale sul Parlamento ad opera del pilota Guido Keller nel novembre del 1920. O il cappio sventolato in aula a Montecitorio dal leghista Luca Leoni Orsenigo il 16 marzo del 1993.
Stavolta l’urlo è arrivato via social dall’influencer Chiara Ferragni, moglie del rapper Fedez, già noto per la polemica con Salvini e la Rai nel concertone del primo maggio. Il post della signora Ferragni conteneva l’immagine di Matteo Renzi e il riferimento era alla legge Zan e ai suoi tortuosi – e platealmente criticati – arabeschi parlamentari. A condimento, la scritta “l’Italia il Paese più transfobico d’Europa ed Italia Viva con Salvini si permette di giocarci su”, per togliere ogni dubbio a chi ci si voleva riferire.
Renzi ha replicato per le rime: per ora la cosa è finita così ma non sono escluse repliche. Il punto di partenza obbligato, come detto, è il singulto qualunquista – che naturalmente è cosa che non c’entra nulla col diritto intoccabile di ciascuno di esprimere ciò che pensa – che stavolta però assume una curvatura particolare. Negli anni, infatti, in particolare per ciò che concerne i sistemi democratici, un simile riflesso scattava quando andava in tilt il rapporto tra Paese reale e Paese legale. Quando cioè il legame tra rappresentanti e rappresentati si deteriorava fin quasi a spezzarsi e uno iato inquietante finiva per dividere i cittadini dalle istituzioni. Adesso a quel binomio si è aggiunto un terzo attore, ossia la dimensione social. Che è capace di, appunto, influenzare il dibattito pubblico perché alimentato da personaggi che hanno una dimensione virtuale ma che sono in grado di trascinare con loro milioni di utenti.
Naturalmente i like sono tutt’altro rispetto ai voti raccolti nelle urne, hanno una qualità e un peso molto differente. Per loro natura sono più “leggeri”. Tuttavia sarebbe sbagliato sottovalutare la capacità di orientamento degli influencer, che passano con tranquillità dalla moda alla politica trascinandosi appresso i tantissimi che si fidano di loro. Forse però il punto è proprio questo. La distanza tra Paese reale e Paese legale veniva di norma riempita dalle elezioni: il voto popolare ridisegnava i rapporti di forza tra i partiti e dunque assegnava a quelli più in sintonia con l’umore dei cittadini il potere di governare.
Niente del genere avviene nell’universo digitale. I like vanno e vengono con velocità non paragonabile ai voti, costruendo così una bolla autoreferenziale che smarrisce il rapporto con la realtà. Il che fa sì che nel perimetro social non solo si possano scatenare gli impulsi più primordiali e dare in tal modo spazio ad eserciti di “odiatori” in grado di scegliersi di volta in volta i bersagli. Quel che davvero conta è che la possibilità di confronto ne risulta fortemente ridotta, in non pochi casi del tutto azzerata.
Uno dei riflessi condizionati del caleidoscopio social è che ritiene di esportare la propria capacità di condizionamento sul mondo legale. Quando ciò non avviene perché le regole della politica e il ruolo delle istituzioni hanno finalità opposte e il compito specifico di favorire il confronto, di stimolare la discussione e soprattutto di definire una sintesi finale da mettere nero su bianco, allora il mondo social esplode.
Per il semplice motivo che appare evidente che la sua presa sul “reale-istituzionale” è inevitabilmente limitata. Di qui il bramito, figlio di un ridimensionamento considerato inaccettabile. Se si innesca una simile discussione, a questo punto di norma ci si trova di fronte alla considerazione “però la politica oggi si fa così”. È una valutazione del tutto legittima, ma parziale: bisogna aggiungere che in tal modo si avvelenano i pozzi, anche se per onestà intellettuale va detto che quelli della politica sono in forte via di essiccazione. Ma anche fosse, quell’essiccazione non può essere considerato un alibi per nessuno. Per quanto screditata, infatti, la politica e le modalità con la quale viene esercitata nel circuito della democrazia delegata, rimane l’unico strumento – concreto, non virtuale – in mano ai cittadini per far sentire la loro voce e, stavolta sì, influenzare direttamente le scelte parlamentari e di governo.
Solo rispettando questa mission e anche tutelando la legittimità di chi la pensa diversamente è possibile ottenere risultati che implementino la civiltà della vita sociale. Il mondo social esercita una perversa attrattività perché fornisce la sensazione che le regole si fanno e disfano praticamente a piacimento. E in caso di tracimazioni, nessuno o quasi paga dazio. È possibile, e per alcuni casi persino doveroso, bannare. Tuttavia si tratta sempre e solo di una parodia del meccanismo democratico. Anche per gli influencer da milioni di follower succede che la realtà è altrove. Fuori portata, o se si preferisce a distanza di sicurezza, dei like.
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