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CONFINDUSTRIA Veneto ragiona sulle infrastrutture insieme ai colleghi del Friuli Venezia Giulia e della Provincia autonoma di Trento. “Il tema travalica i confini dei tradizionali campanili. L’area è ricca di scali aerei, tra cui l’internazionale Marco Polo di Venezia, porti e interporti come Verona, primo impianto interportuale europeo, tutti nodi logistici che finora non hanno dialogato fra loro” lo ha dichiarato Alessandro Banzato advisor infrastrutture e mobilità sostenibile degli industriali della Regione Veneto.

Le parole chiave sono sinergia e trasversalità: lo sviluppo deve coinvolgere tutti gli attori del territorio. È nato così un nuovo approccio sulla logistica capace di mettere a sistema una settantina di soggetti: imprese, sistemi portuali, interporti di Verona, Padova e Rovigo oltre ai quattro atenei locali. Crollano i confini provinciali e regionali e la Confindustria diventa il catalizzatore di un processo che crea e distribuisce ricchezza.

In fondo il porto di Trieste ed il Quadrante Europa di Verona sono dei riferimenti logistici che non hanno più ormai una collocazione nazionale ma sono a tutti gli effetti siti che rivestono, nell’assetto europeo, una collocazione estranea a logiche e a riferimenti amministrativi di tipo “locale”.

Questa collaborazione, essenzialmente legata ad ottimizzare la conoscenza e la interazione dei sistemi logistici, non è fine a sé stessa ma, a tutti gli effetti, è l’inizio di un processo che, nel breve termine, porterà i vari attori coinvolti in questa interessante esperienza verso forme societarie davvero innovative. Penso che prima di un anno in questo vasto ambito territoriale del Nord Est nascerà una Società di Corridoio o una Società di Area Vasta. Due ipotesi progettuali che porteranno, automaticamente, alla creazione di margini derivanti proprio dalle attività logistiche che si attueranno in questo teatro economico. Un teatro che in parte già dispone di reti ferroviarie come l’asse AV/AV Verona – Vicenza – Padova – Venezia – Trieste e l’asse Verona – Brennero – Monaco, di assi autostradali come la A22 (Verona – Trento – Brennero) e la A4 (Brescia, Padova, Venezia, Trieste); di nodi come gli impianti aeroportuali di Treviso, Verona, Venezia e Trieste; di sistemi interportuali come quelli di Trento, Verona, Padova e Cervignano, di impianti portuali come quelli di Trieste e Venezia.

Ebbene questo teatro economico in cui si movimentano annualmente oltre 250 milioni di tonnellate di merci, genera, a mio avviso, automaticamente un asset societario in grado di produrre annualmente un margine derivante dalle sole attività logistiche di oltre 2,5 miliardi di euro. I vari attori, i vari azionisti di questa offerta infrastrutturale, di questa offerta logistica potrebbero, quindi, dare origine ad una società i cui proventi generati dalle attività logistiche potrebbero essere allocati una parte in un apposito Fondo Rotativo mirato sia alla implementazione degli impianti logistici, sia alla assistenza ed al rilancio manutentivo delle reti e dei nodi ed una parte generare appositi dividenti tra i vari azionisti.

Ma sicuramente di fronte ad una simile ipotesi emergeranno degli ostacoli come quelli sollevati dalle Ferrovie dello Stato in quanto a tutti gli effetti organo pubblico o dalla stessa ANAS, ma nel caso specifico la iniziativa partita dalla Confindustria Veneta, sono sicuro, supererà queste gratuite criticità e verranno meno quei pregiudizi che, come avrò modo di elencare dopo, sono tipici della cultura meridionale. Il motore di una simile iniziativa, o meglio, la occasione che ha portato o addirittura obbligato le parti a seguire con grande attenzione questo polmone di convenienze è senza dubbio la digitalizzazione di tutti i processi che, direttamente o indirettamente, caratterizzano, giornalmente, la complessa funzione logistica diffusa sull’intero Nord Est, diffusa trasversalmente su due Regioni e su una Provincia autonoma.

Per ora solo dichiarazioni, per ora solo impegni tra le parti a dare costrutto e significato ad una simile iniziativa, fra pochi mesi però quando il Ministro per la innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao darà attuazione e concretezza alle iniziative già contemplate nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, allora, automaticamente, queste volontà denunciate in modo dettagliato dalla Confindustria Veneta e dalle istituzioni locali come le due Regioni e la Provincia di Trento si trasformeranno o in articolati e funzionanti Partenariati Pubblici Privati (PPP) o in innovative Società per Azioni e, a mio avviso, anche le più volte forme di autonomia invocate dai due Presidenti Zaia e Fedriga si spegneranno perché l’autonomia nascerà automaticamente da strumenti che troveranno nella gestione delle convenienze la vera forza ed il vero significato strutturale.

Questo sta accadendo nel Nord Est del Paese, mentre effettuando una analisi nel Mezzogiorno scopriamo che, come ribadito in un mio documento di un mese fa, non troviamo nulla, ripeto nulla, nella gestione, ad esempio, dei processi logistici di due Regioni come la Campania e la Puglia; eppure queste due grandi realtà dispongono di nodi logistici come quelli portuali di Napoli, Salerno, Taranto, Bari e Brindisi ed interportuali come quelli di Nola – Marcianise e Bari Lamasinata, dispongono di assi come l’asse autostradale Napoli – Bari e come il realizzando asse ferroviario ad alta velocità Napoli – Bari, dispongono di nodi come gli aeroporti di Napoli, Salerno, Foggia, Bari, Brindisi, Taranto. Due Regioni in cui si movimentano annualmente oltre 150 milioni di tonnellate, due Regioni però che ritengono da sempre di essere ancora delle “marche” autonome non interessate a gestire questa enorme ricchezza legata proprio ai processi logistici.

È inutile insistere perché questo approccio, questo atavico convincimento lo troviamo anche nelle Regioni Basilicata, Calabria e Sicilia; lo troviamo nell’impianto territoriale adriatico formato dalle Regioni Puglia, Molise ed Abruzzo. Sembra strano ma mentre per le Regioni del Nord l’autonomia viene ricercata anche attraverso la identificazione degli interessi comuni, nel Mezzogiorno l’autonomia viene ricercata arroccandosi all’interno dei propri confini regionali.

Un comportamento che abbiamo avuto modo di verificare in tantissime occasioni quali:

  • La battaglia tra la Basilicata e la Puglia sulla gestione del corso delle acque interno alle singole Regioni
  • La battaglia tra la Puglia ed il Molise e l’Abruzzo sempre sulla gestione delle acque
  • L’approccio alla gestione del Progetto Penta Rossa. Un progetto di un oleodotto lungo 136 km (di cui 96 in Basilicata) che collega le installazioni petrolifere della Val d’Agri alla Raffineria di Taranto, suo terminale di esportazione.
  • L’assenza di schieramento da parte delle Regioni del Mezzogiorno in occasione della realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina
  • L’approccio miope nella identificazione e nella gestione delle Zone Economiche Speciali

Purtroppo questa pesante miopia delle Regioni del Mezzogiorno consente una rilevante crescita del PIL del Nord del Paese ed una stasi del PIL del Sud, tutto questo rende possibile un PIL pro capite al Nord di 35 – 40.000 euro ed al Sud di 20.000 euro.


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